Dal mio blog su HuffingtonPost Le imprese italiane sono eccellenza nel mondo. Sono più veloci della politica che non sa leggere i tempi che cambiano e più forti delle pastoie burocratiche che ingessano il Paese.

Riescono, all’estero, a fare cose inimmaginabili in Italia. In televisione non le trovi, ma all’estero sì. Da noi in TV c’è solo la politica a reti unificate, mentre nel resto del mondo le eccellenze imprenditoriali sono conosciute, riconosciute e vengono fatte conoscere al grande pubblico. Noi ce ne vergogniamo. Le teniamo nascoste, celiamo i loro successi, preferiamo che applichino le intelligenze italiane al di fuori dei nostri confini. Vi è in questo un antico pregiudizio verso il denaro, una malcelata sopportazione del successo e un sistema mediatico che preferisce parlare di sé piuttosto che del mondo che ci circonda. E poi c’è il Paese, che nelle sue strutture istituzionali fa di tutto per impedire alle nostre migliori imprese di mettersi al servizio della comunità. Fanno notizia solo gli scandali o presunti tali.

Perché le nostre imprese vanno all’estero? E’ un insieme di fattori. Certezza della burocrazia, giustizia celere e una stabilità politica ed istituzionale che è elemento imprescindibile per progetti di lungo termine con investimenti garantiti. In Italia per avere un via libera a ogni progetto serve il concerto di una miriade di Enti. E poi c’è la giustizia amministrativa. Le cose si fanno solo in regime di emergenza (e nemmeno in quei casi, pensiamo al terremoto nel Centro Italia).

Eni per una vicenda riguardante il petrolio in Nigeria è stata assolta negli USA, ma è ancora sotto processo a Milano. Così non si tutela l’interesse nazionale. E poi, quali garanzie può dare un Paese dove ogni anno cambia il governo e i progetti vengono ogni volta ridiscussi? Il mondo è grande e si può fare impresa ovunque, ormai. Tenetevi i vostri governi balneari: qualcuno diceva che si può votare anche con i piedi, andandosene altrove.

La vicenda della metro di Copenaghen è l’ultima che induce a queste riflessioni. Nella Capitale danese la metropolitana è verde, ipermoderna, sicura e soprattutto parla italiano. Oltre le Alpi ci riesce con naturale semplicità quello che è complicato fare in Italia. In Danimarca la Regina Margherita ha inaugurato, qualche giorno fa, la Cityringen. In otto anni, le eccellenze della imprenditoria italiana, protagoniste assolute, hanno consegnato oltre 15 km di linea, diciassette stazioni. Una mega infrastruttura per circa 20 milioni di utenti, un treno ogni 100 secondi, senza conducente, di fatto zero emissioni, sicurezza ai massimi livelli. A guidare il progetto c’è la Salini Impregilo con Pietro Salini. Tra i costruttori c’è la Gcf (Generale Costruzioni Ferroviarie) di Edoardo Rossi, una grande realtà del nostro Paese. Poi ci sono la Engineering e l’Ansaldo Sts, ex Finmeccanica. Hanno consegnato in tempi rapidi un gioiello di modernità.
Per noi è, allo stesso tempo, una grande soddisfazione e motivo di rabbia.
La soddisfazione è per le grandi potenzialità del sistema Italia: qui abbiamo tutto il know-how per fare la rivoluzione digitale, mettere in sicurezza il territorio e costruire le infrastrutture del futuro.

La rabbia nasce dalla lentezza del nostro Paese. Queste imprese potrebbero e dovrebbero fare davvero grande l’Italia e invece è tutto fermo. Corrono solo le roboanti cifre e promesse a ogni cambio di governo. La speranza è che partendo dal nostro sistema mediatico, possa cambiare la percezione e poi l’atteggiamento del nostro Paese verso chi vuole portare l’Italia nel futuro. Chi fa impresa e lo fa bene contribuisce il benessere della collettività. Non è un nemico del popolo.