Dal mio blog su Huffington Post – L’autunno che inizia lascia finalmente alle nostre spalle una delle estati più pazze e indecifrabili della politica italiana.

Viviamo in un Paese con poche certezze. Una di queste è che non va bene per chi intende seguire le abitudini di alcuni ordini indiani. Chi decidesse di praticare, in Italia, i quaranta giorni sabbatici si metterebbe fuori dal mondo. In quaranta giorni cambia tutto. Dalla guerra alle ONG allo ius soli è un attimo, roba di giorni. Non ci sono più nemmeno i governi balneari di una volta. 

Un’estate, questa trascorsa, che ha confermato il superamento di tutti gli schemi della politica, che ha archiviato il valore della parola data e ci ha liberato anche dall’ipocrisia che da sempre è connaturata alla politica e alla democrazia. Peccato che l’ipocrisia sia una forma di convivenza civile, come diceva Fausto Bertinotti. Oggi non c’è né ipocrisia, né convivenza civile e né la politica.

Quanti cantori del governo gialloverde a fine giugno, rilassati in spiaggia dopo il freddo maggio, avrebbero mai immaginato di doversi reinventare giallorossi sotto l’ombrellone, ripudiare il verde mojito per un Martini rosso?

I più grandi autori non avrebbero potuto scrivere trame così cariche di complotti, rotture così drammatiche.

Il ‘Sogno di una notte di mezza estate’ di William Shakespeare racconta di inseguimenti e allontanamenti, di amori che si interrompo e altri che provano a nascere. Eppure anche il grande drammaturgo inglese si sarebbe arreso rispetto al ritmo della politica italiana. Si sarebbe lamentato della realtà che supera la fantasia. Non avrebbe potuto scrivere di questa crisi neanche Brian Helgeland, si sarebbe arreso anche Fritz Lang, padre di tutti i film sui complotti. 

Chi invece avrebbe potuto scrivere è Stephen King. Lo scrittore statunitense, che dalle cose semplici fa nascere le tragedie, lui che dalla quotidianità tira fuori le paure, avrebbe potuto vergare la sceneggiatura perfetta per un film di Tarantino, tutto sangue e merda. Anzi, solo merda.

E i prossimi mesi, che si poggiano sulla irragionevole fragilità di queste sceneggiature, saranno ancora ricchi di novità. Temo non prive di ulteriori raschiate del barile. 

Forse bisognerà non più rincorrere registi e sceneggiatori, per allinearsi alla attualità, e sarà necessario lasciare questa politica non più agli strateghi, ai formatori e agli uomini di cultura, ma ai signori dei reality. A chi dal nulla costruisce improvvisati statisti, pellicole di successo e bestseller.