Dal mio blog su HuffingtonPost – L’evento pandemico che ha portato al lockdown ha determinato un ruolo ancora più centrale del digitale non solo come mezzo per tenere vive le relazioni interpersonali, ma come acceleratore di un processo già in corso, quello dello smart working, che rappresenta un cambiamento epocale nel modo di lavorare e vivere.

Il lockdown ci ha costretti ad una comunicazione via internet che per estetica espressiva e grammatica relazionale è piuttosto brutta e monotona. In questa fase è certamente prevalso il bisogno di comunicare a discapito della qualità anche in televisione, dove abbiamo potuto assistere ad una sequenza di librerie che hanno fatto da sfondo a tutti o quasi i collegamenti.

Durante il lockdown è andata bene così perché l’unica cosa che ha contato è stata quella di continuare a lavorare e di poter comunicare con le nostre persone e i con i nostri clienti.

Ora però non possiamo pensare che i processi di comunicazione aziendale debbano essere sospesi o ancora affidati a modalità estemporanee nell’attesa della fine della pandemia e l’arrivo del vaccino per tornare a fare quello che si faceva prima. Il Covid ci richiede di essere creativi e di trovare soluzioni che pur con le limitazioni entro cui siamo costretti a vivere e lavorare portino risultati comunque efficaci.

Come può avvenire una comunicazione a distanza ma efficace? Come può svilupparsi la comunicazione di una grande azienda, magari multinazionale che può essersi trovata, suo malgrado, in uno degli epicentri dell’evento CoronaVirus? Ed in primo luogo si può prescindere dall’affrontare questa esperienza o vale la pena parlarne per potersi raccontare anche, perché no, in modo epico di come lo si è affrontato? E inoltre quanto diventa fondamentale, nel momento in cui stiamo cercando il modo di contenere i danni, anche di individuare, comprendere e confrontarsi sui cambiamenti che il Covid ha portato e porterà nel futuro e cercare di cavalcarli?

Ragionando di processi comunicativi è probabilmente necessario ritornare alla visione primitiva di MCLuhan che ci insegna che la comunicazione è fatta da un emittente e un ricevente e al media va la funzione di veicolo e la centralità spetta invece al messaggio. In questo schema dobbiamo dare un ruolo ad emittente e messaggio che devono essere centrali e visibili.

L’emittente deve quindi avere una sua estetica per essere funzionale alla centralità del messaggio: si tratta quindi di creare un’ambientazione che abbia un valore simbolico e sia tesa a sostenere il messaggio. Se voglio ad esempio illustrare la mia purpose devo probabilmente presentarmi in un proscenio che ispiri autorevolezza, quindi un teatro, o una location che solitamente associamo ad un’importante convention aziendale.

A seconda del messaggio bisogna immaginare, individuare ed allestire una modalità scenica adeguata. Nessuno ha mai pensato di fare un allestimento per una call ma quando questa diventa una video call e riguarda centinaia di persone per comunicare cose importanti per tutti è chiaro che è necessario cambiare codice, linguaggio e rappresentazione.

Si tratta di realizzare una sorta di programma televisivo accompagnato da contributi di immagini e stacchi di telecamere, dando la possibilità alle persone che seguono di interagire e partecipare.

Che differenza c’è quindi tra la dinamica consueta di una persona che accede ad una convention e ascolta il relatore di turno rispetto a questo nuovo modo di organizzare un evento? Nessuna.

Quindi un evento fatto attraverso una piattaforma web, magari anche una piattaforma televisiva, non diventa più un ripiego ma un modo diverso di fare le cose, una freccia in più nella faretra di chi ha bisogno di comunicare. Certo manca il contatto umano, ma tra fare e non fare è sempre meglio fare. Soprattutto dopo due mesi e mezzo di immobilità forzata.