La chiusura del Riformista non è una buona notizia e notizie di questo tipo saranno meno rare nel futuro. Ma non ci pare che la questione sia affrontata nel modo giusto. La questione non riguarda né la libertà, né tantomeno la democrazia, ma semmai il mercato, perché il problema dei giornali è quello di avere un pubblico pagante che si riduce sempre di più; sempre meno persone li comprano e li leggono e questo non riguarda solo i piccoli giornali, ma colpisce sempre di più i grandi quotidiani che, in Italia, raggiungono numeri ridicoli e costantemente in calo.

La crisi della stampa quotidiana non è cosa di oggi; quotidiani come Repubblica o Il Corriere della Sera hanno numeri in picchiata da anni. Prima la responsabilità veniva imputata alla televisione, poi al mercato pubblicitario, ora a internet. La verità è che i giornalisti sono sempre di più una casta autoreferenziale al servizio di un padrone di turno troppo spesso i quotidiani hanno trasformato i propri piani editoriali in campi di battaglia dove le notizie scompaiono e le opinioni forzate e faziose vengono rappresentate come verità a cui nessuno crede più. Pensate alla figuraccia fatta qualche giorno fa: titoli sulle parole di Obama per i complimenti al nostro premier che mai sono state fatte, perché, nonostante gli inviati, spesso, troppo spesso, i giornalisti si riducono a rincicciare e gerarchizzare le agenzie di stampa o scopiazzare su internet: verificare le fonti, magari con qualche telefonata di controllo è roba che spesso non sfiora chi sta al desk.

Giornalisti che passano il loro tempo in cattedra a pontificare, ma che mai si mettono in discussione. Chi di voi sa quanto guadagna il direttore di Repubblica? O quello del Corriere? Forse 3 o 4 volte il presidente degli Stati Uniti e molto di più di chi dirige quotidiani con milioni di lettori negli Usa o in Inghilterra. Ma sulle prime pagine troverete le inchieste sullo stipendio di Marchionne (non sulla Stampa) o su quello di Manganelli, ma non certo su loro che magari sostengono l’abolizione del articolo 18, ma per gli altri non certo per loro. Per non parlare delle nuove leve dei giornalisti sempre più televisivi, sempre più su internet, ma sempre poco informati pronti a stroncare e giudicare, ma poco disponibili a capire e studiare.

Insomma la crisi dell’edititoria non è colpa di chi non compra i giornali, ma di chi li scrive; non rappresentano più la libertà di espressione, ma una casta marginale e arrogante e sempre più assistita… Naturalmente senza generalizzare.