Da Agostino Spataro –  Sventurato quel popolo che si affida a leader i quali, per vincere le elezioni, gareggiano a chi si mostra più spietato nel massacrare il popolo limitrofo.

Ma ancor più sventurato, disgraziato direi, è quel popolo che, per ironia della storia, si trova a vivere in contiguità del primo e quindi a subire un’oppressione pluri decennale, la concentrazione obbligata nei nuovi lager della miseria e della disperazione (come sono Gaza e i tanti campi profughi palestinesi) e, di tanto in tanto, le ire funeste di governanti miopi che non riescono a vedere oltre la canna del fucile o, se si preferisce, del mirino di un F16.

Avrete capito che stiamo parlando degli israeliani e del popolo martire palestinese, ancora una volta vittima della democrazia bellicista d’Israele e delle sue bombe che mietono vittime a centinaia fra la popolazione civile ossia bambini, madri e padri e vecchi. Uomini e donne in carne ed ossa, come lo siamo noi che assistiamo impotenti e sgomenti alla carneficina programmata e deliberata per esigenze di campagna elettorale. Come dire: non solo strade, servizi, pensioni, nuovi ospedali, ma anche bombe, a volontà, contro i palestinesi. Chi più ne sgancia più voti prenderà.

E’ questa la vera novità del confronto elettorale israeliano che si svolge fra un’accozzaglia di partiti che tirano a destra: movimenti integralisti religiosi e formazioni nate dalle ceneri del vecchio Likud. La sinistra laburista, moderata e, talvolta, equivoca, è stata scientemente atrofizzata, disarticolata, liquidata dai suoi stessi dirigenti che si sono lasciati fagocitare in cambio di qualche poltrona.

Chi oggi tira le fila, anzi le bombe, di questa carneficina è un autorevole esponente laburista: il ministro della difesa Ehud Barak. Quando una “democrazia” ricorre a tali metodi per attirare il consenso di elettori, evidentemente disponibili a concederlo, vuol dire che c’è qualcosa di patologico che la consuma dall’interno e l’ha spinge sulla via dell’avventura guerresca.

S’apre, cioè, una prospettiva grave, inquietante, per Israele, per i popoli della regione ed in generale per l’Europa che, seppur con qualche distinguo diplomatista, continua a sostenere i governanti israeliani in questa sanguinosa aggressione. Il gioco è sempre lo stesso: mettere sullo stesso piano le responsabilità di Hamas e quelle storiche, e ben più gravi, dei governi israeliani, senza mai chiarire chi sono gli occupanti e chi gli occupati, le enormi differenze tecnologiche e di difesa fra le parti in conflitti. Nemmeno si vuol fare la conta dei morti, dei feriti, delle distruzioni giacché i totali sarebbero davvero imbarazzanti per Israele e per i suoi sostenitori.

Certo, Hamas ha le sue responsabilità, ma bisognerebbe ricordare agli smemorati che la nascita di questa organizzazione islamista, oggi definita “terrorista”, è stata auspicata e favorita da settori dei governi e dei servizi israeliani per usarla in funzione anti Arafat e poi magari liquidarla, in un modo o nell’altro.

Un giochetto rischioso, riuscito solo in parte. Arafat, alla fine, è stato messo fuori gioco e così Israele si è scelto il “nemico” col quale trattare, ma Hamas c’è ancora, anzi è divenuta padrone del campo, confortata da un’ampia legittimità popolare ed elettorale.

Così come quando si parla, e si scrive, di “Territori” è utile sottolineare che sono palestinesi ed occupati, non da schiere di angeli giulivi calati dal cielo, ma da poderosi eserciti israeliani che dal 1967 (da oltre 40 anni!) sono là a sfidare l’odio delle popolazioni sottomesse e le numerose risoluzioni delle Nazioni Unite che ne chiedono lo sgombero.

Quando ancora potrà durare questo tira e molla? Quali conseguenze ne potranno derivare per la stabilità della regione, del Mediterraneo e della stessa Europa? Non basta la tregua, per quanto necessaria per fermare il massacro. La soluzione vera, ragionevole è la pace equa e globale.

Per raggiungerla bisogna, però, parlar chiaro e non fare sconti a nessuno. In primo luogo, i governanti europei ed Usa che non possono continuare ad agire contro il punto di vista prevalente nelle rispettive opinioni pubbliche le quali- è notorio- stanno dalla parte delle vittime non degli aggressori.Agostino Spataro