Per chi si occupa di comunicazione, come capita a me, la relazione con l’arte moderna è un architrave per la formazione delle idee. Quindi visitare i musei newyorkesi è spesso fonte di ispirazione rispetto ai colori, alle forme, alle idee. In Italia è Venezia, con la Biennale, uno dei punti di riferimento e quest’anno ci ho fatto una scappata.

Vi consegno alcune mie considerazioni: complessivamente gli artisti esposti mi hanno consegnato uno stato d’animo entropico, da fine del mondo, dolorante e addolorato. E’ nel padiglione Italia che ho visto le cose più interessanti con Matteo Basilè e la sua “Caduta degli dei”, Aron Demez che ha scelto di rappresentare con il legno figure umane sanguinanti di grande efficacia e la “Piramide di luce” di Silvio Wolf che campeggia nella sala principale. Sono due le cose che mi hanno colpito maggiormente la Tela del ragno, straordinaria opera di grande suggestione, ma più di ogni altra quella che mi ha sedotto, anzi corrotto è quella si intitola “Il giardino dell’Eden corrotto”, dove cromature, forme, dinamiche, spazi rappresentano una continua fonte di ispirazione.

Ma alla Biennale, come del resto lo scorso anno al Moma a New York non ho trovato gioia, speranza, fiducia. Gli artisti del nostro tempo al di là del giudizio estetico ci narrano un mondo avvizzito e morente.