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Ho assistito attonito e incredulo a quanto accaduto intorno alla morte di Eluana Englaro. Probabilmente Silvio Berlusconi meglio avrebbe fatto a valorizzare il passante di Mestre realizzato in soli quattro anni che non impegnarsi in una battaglia etica i cui profili lasciano nel dubbio chiunque abbia una coscienza.

La cosa che più mi spaventa sono le assolute certezze che ho visto manifestarsi nei due schieramenti. Abbiano sentito cose incredibili: Eluana è viva, Eluana è morta, Eluana è stata assassinata, la parola omicidio legata al padre ci ha martellato per intere giornate.

Ci hanno anche raccontato che una povera ragazza ridotta all’immobilità da ben 17 anni era persino in grado di partorire. Tutti si sono sentiti in dovere di giudicare le scelte di Beppino Englaro come se si trattasse della nazionale di calcio, e l’Italia si è divisa tra il “partito della morte” e il “partito della vita”, tutti a pontificare, tutti a tracciare un nuovo profilo della morale e definire i confini del bene e del male.

Se si osservano i sondaggi, ci si rende conto che nella migliore delle ipotesi il Paese e diviso a metà, ma nella maggioranza gli italiani si rappresentano come solidali nei confronti delle drammatiche scelte del padre di Eluana, ma soprattutto riconoscono alla famiglia il dovere di assumere quelle decisioni che sono state assunte da Beppino Englaro in questa situazione.

Il clamore poi e questo sussulto è stato ridimensionato dai dati di ascolto tv dove il “Grande fratello”, il giorno della morte di Eluana, ha fatto più di 8 milioni di spettatori contro i poco più di 5 milioni fatti dagli speciali di Vespa e Fede.

Personalmente non ho grandi certezze e non mi sono arroventato sui dibattiti clinico-scientifici su ciò che è vivo e ciò che è morto, quello che so e quello che temo è che questa vicenda possa diventare lo strumento per ridurre il mio diritto a manifestare le mie credenze religiose e le mie scelte personali.

Io sono buddista, non vado in giro vestito di arancione, non suono i campanelli, sono nato a Milano e vivo in Italia, ma non per questo sono meno buddista e non solo per questo credo che ciò che delimita il mio concetto di vita è la “coscienza di sé”.  Su vicende di questo tipo non mi sognerei mai di dire quello che devono fare gli altri, ma quello che pretendo, e temo che nel prossimo futuro non sarà così, è che le mie scelte personali siano NON contenute ed accettate dal Paese in cui vivo e in cui sono nato.

Io sono contro l’eutanasia, ma se la mia pietra miliare è la coscienza, quindi quella luce fatta di consapevolezz che rappresenta la possibilità di evolvere che non si contempla necessariamente quando si sta bene o si è felici.

Ma quando la luce della coscienza si spegne in ogni essere umano, e si dovesse spegnere in me, il desiderio di riprendere un percorso all’interno del ciclo delle esistenze che si susseguono, farebbe si che la permanenza in un corpo rappresenterebbe una prigione, un sacrilegio. La cremazione è uno strumento per accelerare questo percorso e arrivare prima al Padre Universale, ma questa mia concezione è diversa dalla visione cattolica del Giudizio Universale, delle tombe che si scoperchiano nella resa dei conti finali e che ha come punto di riferimento anche l’eternità del proprio corpo.

Raramente ho parlato delle mie convinzioni spirituali perché le reputo un fatto personale, intimo, riservato, una cosa che riguarda me, e se dovessi trovarmi nelle condizioni di Eluana, l’idratazione e l’alimentazione forzata, sarebbero una violenza inaudita alle mie più profonde convinzioni.

Allora come se ne esce? Naturalmente con un concetto di libertà, ognuno deve avere la possibilità di scegliere. Così come io riconosco agli altri la scelta di continuare a vivere in mancanza di coscienza, esigo che lo stessa possibilità sia riconosciuta a chi la pensa in modo diverso.

L’indirizzo che sta assumendo la maggioranza non mi consentirà questa scelta e a me non resterà che gestire il mio eventuale fine vita in Tibet, magari vestito di arancione coperto di campanelli.