Il 9 novembre del 1989, verso sera, il mondo decise di cambiare. Lo decise all’improvviso, nonostante qualche timida avvisaglia. Quella sera la Storia ingranò la quarta ed in poche ore, grazie alla spinta della gente, riuscì a superare 30 anni di divisioni, di freddi e calcolati litigi, di pericolose minacce nucleari.

Quest’anno ricorre il ventennale della caduta del Muro di Berlino: impossibili da dimenticare le immagini delle migliaia e migliaia di persone che con i picconi o semplicemente con le mani si scagliavano contro il concreto simbolo della Guerra Fredda tra mondo occidentale e mondo comunista; l’area circostante la Porta di Brandeburgo risuonava di urla, canti, feste consumate sotto gli increduli occhi dei militari della Germania dell’Est, che fino ad un giorno prima non avrebbero esitato ad arrestare (o peggio, uccidere) chiunque si fosse avvicinato senza un permesso speciale. Famiglie ricongiunte, amici ritrovati, un popolo tornato ad essere uno ed indivisibile: c’era tutto questo nelle lacrime e nella gioia di chi, prendendo a picconate il muro, prendeva a picconate anche la superbia e la crudeltà di chi aveva causato tutta quella sofferenza. Per quasi 30 anni il Muro di Berlino ha rappresentato la sconfitta dell’ uomo, essendo divenuto simbolo immobile di un mondo diviso, ostile, cristallizzato, del tutto impreparato ad accettare la diversità sotto ogni forma ed a convivere con essa. Alcuni potrebbero dire: “Le ferite della Seconda Guerra Mondiale erano ancora troppo vive per rischiare un nuovo massacro: in quel momento la costruzione di un muro rappresentava senza dubbio il male minore”. Può essere, ma forse le speranze di arrivare ad un accordo c’erano ancora, forse chi decise di alzare un muro aveva capito di non poter, in un certo senso, competere con il blocco contrapposto. Bando al “politicamente corretto” : fu l’Unione Sovietica, la mattina del 13 agosto 1961, ad interrompere tutti i collegamenti tra Berlino Est e Berlino Ovest, che come enclave occidentale nella DDR rappresentava un vero e proprio “paradiso a portata di mano” per chiunque avesse voluto scrollarsi di dosso il rigido controllo comunista. I sovietici volevano fermare a tutti i costi la continua emorragia di berlinesi e tedeschi dell’est che si rifugiavano nelle zone di influenza americana, francese e britannica: il regime di terrore e brutalità organizzato dai russi trovava così nel muro la sua quasi completa evoluzione. Nonostante questo atto di aperta ostilità, e veniamo alle responsabilità dell’occidente, il blocco capitalista, impaurito e colto di sorpresa, decise semplicemente di rimanere in attesa di sviluppi (alcuni esponenti politici americani non tardarono ad affermare che i russi avevano fatto loro quasi un favore, dal momento che il flusso migratorio di tedeschi dell’est diventava sempre più preoccupante): gli ingredienti per mantenere bloccata la situazione, dunque, c’erano tutti.

Facciamo un po’di numeri: lungo circa 150 Km e interrotto solo dai super sorvegliati checkpoint, il muro fu sottoposto a continue opere di manutenzione e di rinforzo; illuminato di giorno e di notte per prevenire possibili fughe, si è quantificato in circa 250 il numero delle persone uccise nel tentativo di passare dal’est all’ovest di Berlino, che vanno a sommarsi alle circa 700 uccise mentre cercavano di varcare il confine tra Repubblica Democratica e Repubblica Federale; poche migliaia le persone riuscite a passare indenni il confine, mentre decine di migliaia sono gli arresti effettuati dai soldati dell’est. Tra i fuggitivi, dobbiamo comprendere anche le centinaia di soldati addetti al controllo del muro stesso (di uno abbiamo anche il nome, Conrad Schuman, e la foto che lo raffigura mentre con un balzo da felino salta il filo spinato in un punto in cui la sorveglianza era più blanda). Da ricordare, inoltre, il giovane Chris Gueffroy il quale, poco più che ventenne, fu ucciso dai soldati di confine il 5 febbraio 1989, passando tristemente alla storia come l’ultima vittima del Muro di Berlino.

Ma ripercorriamo sinteticamente quelle giornate isteriche che, a partire dall’estate del 1989, portarono alla caduta del Muro. L’inizio della reazione a catena lo rintracciamo in Ungheria: le autorità filo-russe, impaurite dalla crescente tensione, decidono di aprire i confini con l’Austria; dal mese di settembre, migliaia di tedeschi dell’est decidono dunque di scappare attraverso lo stato magiaro. La situazione si fa sempre più delicata e a Berlino Est cominciano a fiorire le grandi manifestazioni di popolo che in poche ore portano il leader della DDR Honecker (quello che a gennaio dello stesso anno “profetizzò” la tenuta del muro per altri cento anni) a dimettersi in favore di Egon Krenz il quale, nel disperato tentativo di salvare il salvabile, stabilisce per i cittadini la possibilità di accedere a degli speciali permessi di viaggio nella Germania Ovest. Ma ormai la scintilla era scoccata ed il precipitare degli avvenimenti non era più arginabile, nemmeno per l’Urss, anch’essa avviatasi verso il disfacimento totale: dal 9 di novembre le guardie ricevettero l’ordine di non ostacolare più il fiume di gente che stava oltrepassando il confine. Nelle settimane immediatamente successive, le ruspe iniziarono a lavorare per abbattere il mostro di cemento armato che per 30 anni aveva diviso una Nazione che, nel bene o nel male, aveva sempre fatto vanto della propria unità e del proprio sentimento patriottico. I negoziati per la riunificazione delle due Germanie ebbero subito inizio, per concludersi ufficialmente nell’ottobre del 1990 attraverso l’adesione dei 5 stati della DDR alla Repubblica Federale di Germania.

Nel corso degli anni del Muro, innumerevoli sono stati i momenti, le immagini e le parole passate alla storia, ma senza dubbio occupa il primo posto la visita in Germania del Presidente Americano Kennedy, pochi mesi prima di essere assassinato. In un suo memorabile discorso nei pressi della Porta di Brandeburgo, pronunciato il 26 giugno 1963, JFK riuscì in poche parole a descrivere la sostanza della Guerra Fredda e la differenza tra i due blocchi contrapposti, instillando nella coscienza dei tedeschi e degli europei la speranza e la voglia di oltrepassare le barriere: non sapremo mai, purtroppo, se quel nuovo percorso inaugurato dal Presidente e bruscamente interrotto il 23 novembre dello stesso anno a Dallas, quando un moschetto di fabbricazione italiana gli diede la morte, sarebbe giunto ad una conclusione diversa e più tempestiva dell’intera crisi.

E’ utile, al termine del ricordo di cosa fu il Muro di Berlino, riportare alcune frasi pronunciate da Kennedy nel suo intervento, in modo da poter tornare per qualche secondo a respirare l’atmosfera di quegli anni così difficili: “C’è gente nel mondo che davvero non capisce, o dice di non capire, quale sia il grande problema tra il mondo libero ed il mondo comunista: fateli venire a Berlino! Esistono persone che dicono che il comunismo è l’onda del futuro: fateli venire a Berlino! Esistono persone che dicono che, in Europa come altrove, possiamo collaborare con i comunisti: fateli venire a Berlino!…La Libertà ha molte difficoltà e la Democrazia non è perfetta. Ma noi non abbiamo mai dovuto alzare un muro per impedire alla nostra gente di fuggire!…Tutti gli uomini liberi, ovunque vivano, sono oggi cittadini di Berlino. E quindi, in quanto uomo libero, posso dire con orgoglio che “Ich bin ein Berliner!”. –  Civis novembre 2009