elezioni-regionali-2015Oggi su Il Tempo è stato pubblicato questo mio editoriale – La campagna elettorale è diventata sempre di più una zona franca avulsa dalla realtà. Dove ognuno ha potuto dire quel che ha voluto e nessuno è riuscito a fare chiarezza all’interno di uno scontro che si è trasformato sempre più in una rappresentazione di persone contro persone, candidati contro candidati, follower contro follower.

Una battaglia campale che ha assunto contorni sempre più surreali. Lo scontro ha perso sempre più in passione ed è stato sempre più avvilito da menzogne e turpiloquio. Abbiamo assistito ad una vera e propria escalation che ha trovato il proprio terreno di coltura ideale sui social ed in Internet. Una propaganda tesa sempre più ad armare gli uni contro gli altri, ad organizzare spedizioni punitive.

il tempo editoriale luigi crespiUna rincorsa a screditare e delegittimare l’avversario. Programmi, progetti, idee, proposte: tutto annichilito dal rancore. Gli ancoraggi ideologici sono solo un ricordo. Il territorio si è sfaldato, l’appartenenza delusa è diventata contrapposizione. Da una parte abbiamo una formazione politica – i pentastellati – che oggi è destinata ad un’affermazione importante. Che alimenta la sua permanenza non con la capacità di governo, ma con quella di dare corpo ai disagi, ai disservizi, alle difficoltà, alle ruberie, alle furbizie.

Si presentano con una classe dirigente spesso improbabile, ma proprio per questo credibile perché differente e distante dal conformismo del potere. Ma questo non fa di loro un’alternativa migliore, perché anche loro sono l’effetto di questa realtà. Dall’altra parte abbiamo il blocco del centrodestra, semplicemente sfaldato.

In Puglia Fitto (Forza Italia) si presenta contro la Poli Bortone (Alleanza Nazionale che però si presenta per Forza Italia). Il tentativo di Berlusconi di regolare i conti in quella regione lo ha accecato, ed ha sortito il solo effetto di regalare senza colpo ferire la Puglia ad Emiliano. Che già di per sé appare un controsenso geografico. Addirittura nelle Marche il candidato del Pd è diventato espressione del centrodestra.

E poi abbiamo Salvini, il ‘magnifico’.

Tutto solo alla rincorsa della leadership – non si capisce bene di che cosa – in preda ad un derby elettorale il cui perimetro appare incerto. Una sfida tutta personale che avrà la sua misura in Puglia dove, se riuscirà ad ottenere un buon risultato, legittimerà la sua idea di essere un leader nazionale.

Ma intorno a lui c’è uno spettacolo indecente: residui di ’68 misti a pezzi di black block e centri sociali lo hanno accompagnato per tutta la campagna elettorale in uno scontro fisico, violento che ha evocato gli antichi fasti di una sinistra militante che faceva della violenza un giusto strumento rivoluzionario. Ma la violenza senza rivoluzione è peggio della stupidità. A parti invertite il centrosinistra ha dato il peggio di sé. Ha trasformato questa campagna elettorale nell’ennesimo scontro senza esclusione di colpi tra correnti che oramai non appassiona più nessuno. In una contraddizione oramai evidente tra i desideri emancipati che richiama Renzi e la realtà di un partito che sul territorio si presenta con un apparato vecchio, appesantito e bolso.

La Liguria ne è la plastica rappresentazione, dove il centrosinistra è riuscito a rendere competitivo Giovanni Toti, in una regione dove il centrodestra ha vinto solo quanto stava al massimo dei consensi nazionali. E sono proprio la Ligura e la Campania il confine di quel cielo che stabilirà vincitori e vinti. Ma è stata la Campania con De Luca ad essere il caso nazionale. Anzi internazionale.

La legge Severino, nata dal centrosinistra e che è servita a far fuori Berlusconi, è stata il calvario di Vincenzo De Luca, ma ha anche impedito a Caldoro di misurarsi sulle cose fatte. Il candidato del centrosinistra, come del resto Renzi, non ha saputo trovare su questa vicenda riposte convincenti.

Ma il grande colpo di scena è stata la lista degli ‘impresentabili’. Obiettivamente discutibili le modalità con cui il presidente Bindi l’ha presentata ed il modo con cui ha impattato sulla vita delle persone: il giorno prima del silenzio elettorale nessuno può difendersi e diventa una condanna pubblica, senza appello. Una gogna. Ma, come diceva Nenni dal suo esilio francese, “il y a toujours un pur plus pur que t’epure”.

E quel puro più puro che ti epura arriva sempre. Ma chi ha fatto del giustizialismo la propria cifra politica, del tintinnar delle manette la campana con la quale ha suonato il tempo agli avversari, oggi non ha titolo di lamentarsi. Ed è anche difficile esprimere solidarietà. Tutto è liquido, ma nulla scorre.

In un’epoca dove basta parlare per pensare di dire, non potremmo stupirci se gli italiani passeranno dalla rabbia alla disapprovazione e poi infine all’indifferenza, che è l’antitesi dell’amore. Se scopriremo che in questa tornata elettorale a scegliere chi ci governa saranno sempre meno, saprete con chi prendervela.