Di Monica Gasbarri – Sapevate che il senatore Antonio Razzi ha fatto stampare delle magliette con sopra la battuta ormai celeberrima: “Te lo dico da amico. Fatti li cazzi tua”? Sembra uno scherzo, e invece è la (simpatica) trovata di Razzi… quello vero. Il fatto in sé divertente ci suggerisce, però, che lui, anziché disperarsi per il trattamento che gli è stato riservato da Maurizio Crozza – che lo ha trasformato in un simbolo del politico opportunista, caciarone e ignorante – si è dimostrato così entusiasta di questa rappresentazione da sottoscriverla in toto.

Antonio Razzi
Antonio Razzi

Se vi capitasse di parlare con Razzi, insomma, misurereste una gratitudine eterna al comico genovese: “Mi ha fatto diventare un personaggio”, “sono diventato popolare”.

Razzi si sente rappresentato dall’immagine che Crozza ne dà, in essa si identifica, forse confondendo la notorietà con la popolarità. E se il personaggio messo in scena da Crozza non fosse un’esagerazione, una forzatura? Se fosse una sua rappresentazione lineare? Forse, allora, avrebbe ragione lui.

Il quadro che emerge già da questo primo esempio non può che essere figlio di un tempo che predilige la capacità di distinguersi, di emergere a ogni costo, l’idea che la notorietà e la fama siano dei valori anche a discapito della reputazione.

L’altro caso che ci viene subito in mente è quello di Lotito: presentatosi dimagrito e rinfrancato, negli ultimi tempi è comparso in tutte le trasmissioni televisive, principalmente politiche, come opinionista.

Anche il suo personaggio è stato sapientemente rappresentato da un comico, Max Giusti, che ne ha colto i tic, le esagerazioni, i latinismi, ma ne ha fatto emergere anche gli aspetti positivi: la capacità di amministrare e l’iperattivismo. La sua interpretazione, quindi, era divertente, ma non di quelle che troncano una carriera.

Questo suo iperattivismo, questo suo essere presente in maniera evidente come sponsor di Tavecchio (prossima vittima di Crozza), ha portato però all’insorgenza di un moto spontaneo del web, di quelli che (questo sì), possono anche far male. #LotitOvunque è una satira che è nata acida e spontanea.

I media, d’altronde, sono cosa delicata: basta un niente perché la misura sia colma.

Ma anche nel caso di Lotito, il diretto interessato non sembra cogliere, forse, il danno che l’hashtag e l’ironia ad esso collegata hanno prodotto all’immagine e alla rappresentazione della sua reputazione personale. Anche lui, come Razzi, ha colto questo aspetto come la misura del suo successo. L’esserci prevale sulla qualità, facendo vincere una rappresentazione egoica della realtà, piuttosto che una reale percezione.

Forse è l’era di Renzi, forse il fatto che abbiamo toccato l’apice di 20 anni di raffigurazioni estreme che ci hanno portato a credere che il privato sia pubblico; che ha spinto le persone comuni a condividere ogni recondito aspetto della loro vita; che ha spinto degli anziani a corteggiarsi in tv; e che ha portato, addirittura, in nome della libertà, a mostrare tutto, a mettere in scena qualunque cosa in nome del clamore, dello stupore, scambiandolo per successo.

Dopo vent’anni di Berlusconi e ancora di più di televisione “guardona”, questa fase ha esaurito ormai tutte le sue risorse e ci si deve confrontare con un uso dei media e dei social che richiede un approccio nuovo e più rigoroso.

La spazzatura nella comunicazione non manca di certo, e, alla fine, conterà sempre di più quello che dicono di te, piuttosto che quello che tu dici di te stesso. Forse se ne accorgeranno anche Lotito e Razzi, due esempi plastici alla Alberto Sordi: “A me mi ha rovinato la guerra”. A loro la comunicazione.

Fonte: Data24News