matteo renzi

Non credevo ai miei occhi quando ho visto le slide multicolore che campeggiavano sul video della TV che trasmetteva in diretta la conferenza stampa di Matteo Renzi.

Ho pensato che fosse un contributo grafico della rete che stavo guardando, ma quando ho fatto zapping e ho visto che la scena era la stessa non ho trattenuto le risate. L’ultima volta che ho visto una cosa del genere parlava Carlo Momigliano e presentava agli investitori pubblicitari i palinsesti di Mediaset. Erano gli anni ’90.

Matteo Renzi è riuscito a presentare come rivoluzionaria e innovativa una presentazione in power point con gli omini di default; uno strumento che appartiene al jurassico della comunicazione.

Certo lui ci mette energia ottimismo e, in fondo, gli italiani lo guardano e dicono: “vediamo dove vuole arrivare…”. Se poi ci arriva bene, altrimenti fanno sempre in tempo a mandarlo a quel paese.

L’approccio di Renzi, però, ha sempre bisogno di essere alimentato dal successo, ed è condannato ad avere successo – unico elemento essenziale alla sua formula.

Niente di pirotecnico, niente di clamoroso, niente a che fare con le formule moderne del marketing relazionale o con il linguaggio moderno della connessione permanete. Renzi è tremendamente vintage.

La vera rivoluzione ci sarebbe se facesse quello che dice, perché se quello che ha rappresentato ieri dovesse realizzarsi, allora conterà poco con quale tecnica comunicativa l’ha presentato. Ma finiamola di rappresentare Renzi come un genio della comunicazione, perché di geniale non ci trovo niente: niente di nuovo, solo una rivisitazione emotiva ed entusiasta di modelli quasi antichi. Certo che se qualcuno come Toti lo accusa di fare quello che il suo leader ha inventato, le televendite, la forza di Renzi sarà la debolezza dei suoi avversari che, ad oggi, appaiono incapaci di intercettare l’entusiasmo quasi incosciente che è, per ora, moderatamente contagioso.