Matteo Renzi

Come avrete notato, non sono intervenuto nella querelle sanguinosa relativa alla formazione del primo governo Renzi. Anche perché ritenevo che questo governo, in realtà, sia un “gabinetto del Presidente”. L’idea che proietta è quella di un uomo solo al comando investito di un potere taumaturgico, che sente su di se una responsabilità epocale: quella di fare ciò che nessuno è riuscito a fare in un tempo inimmaginabile.

Il discorso di Renzi al Senato è stato una performance stupenda, bellissima: pause, tempi, battute, postura. Renzi è bello, ti comunica fiducia, talvolta anche simpatia. I suoi toni sono avvolgenti ma anche ruvidi, insomma, forse il più suggestivo anchorman della politica italiana.

Ma poi ho ripercorso il suo discorso, che ha toccato tutti i temi fondamentali: la giustizia amministrativa, quella penale, i costi del lavoro, la disoccupazione, il semestre europeo, rappresentando l’idea, anzi la necessità, di andare avanti, di progredire, di cambiare tutto e di farlo subito e puntualmente. Ma non ho capito come.

Tagli agli sprechi. Sì, ma quali? Tagli alle tasse. Sì, ma quando? E come aumenti i posti di lavoro? Con quali tempi, modalità parli di interventi, di riforma della giustizia, ma incardinandola su quali parametri e sistemi legislativi? Insomma, Renzi sarebbe sicuramente bravissimo a condurre Sanremo al posto di Fazio. Dal punto di vista della comunicazione simbolica è un 39enne magistrale e splendido. Tutto questo è importante, ma non può presentarsi al Senato della Repubblica senza inserire nel discorso programmatico del suo governo i modi e i tempi di come vuole cambiare il governo.

Altrimenti non siamo di fronte a Matteo da Firenze, ma a un Matteo di Nazareth. E presto, molto presto, si rischia di essere ricacciati tra gli eretici, inseguiti dalle frotte dei matteiani che ti danno del senza Dio. Anzi, del “senza Matteo”.

Io non sono intervenuto sull’elenco dei ministri. Non ho fatto neanche la retorica della mazzata in testa a Letta. Non ho neanche sottolineato gli occhi bassi di Matteo da Nazareth davanti alla faccia tumefatta di Letta. Insomma, non ho pucciato il biscotto. Però, caro Matteo da Nazareth, facci una grazia: dicci come, dicci quando. Il perché lo sappiamo da noi, anche se non saremo mai nel coro dei plaudenti cortigiani e ruffiani di cui sembra che, come tutti i taumaturgici, ami circondarti.

E’ ovvio che non avendo una posizione ideologica e non credendoti una diretta espressione divina sarò sereno (cioè non sereno come intendi tu) e sarò il primo ad applaudire quando le cose avverranno. Solo di fronte al loro concretizzarsi io potrò dire, senza indugio e pubblicamente, che tu avrai il mio voto e di tutti quelli che potrò sommare al mio. Amen.