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Da dove cominciare a raccontare la campagna per le europee più moscia che si vista in Italia? Luigi Crespi, l’ex sondaggista un tempi più amato da Silvio Berlusconi, non ha alcun dubbio: lo si vede dai prezzi dei manifesti elettorali 3 metri per 6 (“l’anno scorso viaggiavano sui 500 euro l’uno, oggi da 150 a 170 euro”) e dai muri cittadini.

Chi ci ha fatto caso? “Non li ho mai visto così vuoti. Per la prima volta da dieci anni mancano i tre per se con la faccia di Berlusconi. E sono pochissimi gli altri manifesti: mal riusciti quelli del Pd, discutibili i poster di Pier Ferdinando Casini abbracciato ai figli, di gusto anni ’50, però efficaci sul target, i Dipietristi”

Ma soprattutto:”Colpisce l’assenza totale delle nuove aggregazioni, dei nuovi marchi politici come Sinistra e Libertà, o Destra-Lombardo-Pensionati-Pionati. Mancano 40 giorni al voto, dovrebbero essere già in pista per farsi conoscere”.

E invece: missing, non pervenuti.

Certo, mancano ancora le liste definitive. La ricerca dei testimonial e dei candidati acchiappavoti, soprattutto nelle piccole formazioni che il 6 e 7 giugno si giocano la sopravvivenza, e ancora in corso.

Naturalmente i soldi da investire per la campagna elettorale (preventivi correnti: 1milione a candidato, 3-4 al minimo per un partito) sono pochi soprattutto a sinistra. Però a condizionare il quadro sono più che altro i sondaggi: il gradimento di Silvio Berlusconi, assente dai manifesti ma ben presente in Abruzzo dopo il terremoto, veleggia oltre quota 50%.

Tra il 42 e il 43%, ha annunciato Paolo Bonaiuti il 21 aprile, viaggia il PDL.

A scatola chiusa.

“Per le candidature i lavori sono in corso” dicono all’unisono Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello. Ma l’opposizione come si inventa un’efficace contro marketing elettorale? Chi è disposto a metterci la faccia? L’elenco dei “no, grazie” in questo giro è sterminato. Ne sa qualcosa Dario Franceschini segretario di un PD che i sondaggi al momento accreditano tra il 22 e il 26%.

Dopo aver aperto la campagna elettorale annunciando la sua intenzione di non correre per Strasburgo, in polemica con quello che lui definisce il grande “imbroglio” di Berlusconi (candidato in tutte le circoscrizioni ma costretto a dimettersi dopo l’elezione perché la carica di presidente del Consiglio e quella di euro deputato sono incompatibili), Franceschini ha incassato un rifiuto di massa.

S’è sfilato Piero Fassino, ha detto no Massimo D’Alema, hanno declinato Walter Veltroni prima e rumorosamente dopo Goffredo Bettini, in polemica per il reclutamento del conduttore del Tg1 David Sassoli come capolista per la circoscrizione centro. Inutile il pressing su Renato Soru e su Stefano Rodotà.

Sergio D’Antoni, inizialmente disponibile, ci ha ripensato.

Anche Franco Marini ha dato il suo contributo ad allargare il vuoto che si sta facendo intorno al segretario: “no grazie, desidero completare il mandato a Palazzo Madama”.

Timorosi di mettere la propria faccia su una batosta annunciata? O tutti già impegnati nelle manovre in vista del congresso di ottobre, quando difficilmente un Franceschini sconfitto potrebbe essere un candidato credibile alla segreteria? Non ci sono i big, mancano le macchine da voto, i capilista imposti da Roma non sempre sono digeriti dal partito a livello locale, come Rita Borsellino in Sicilia, Luigi Berlinguer al nord-est, o Sergio Cofferati nel nord-ovest.[….].