MarcoPannella

di Marco Pannella –  Da diversi giorni Massimo D’Alema lancia deliberatissime provocazioni politiche, che nessuno mostra di raccogliere, men che mai dall’interno del Pd (dove Ignazio Marino è silenziato), dal Partito degli editori in fallimento, e assai comprensibilmente dai resti delle cosiddette “Sinistre Radicali”.

Dunque, D’Alema, in meno di una decina di giorni, dichiara: 1) di essere «per una politica laica, non di tradizione comunista ma democristiana»; 2) che l’obiettivo del Pd deve essere quello – un po’ ultradipietrista – di unire “tutte le opposizioni” attuali al Governo Berlusconi, dall’Udc all’Italia dei valori e a Sinistra e Libertà (non nomina, beninteso, al solito i Radicali; e, ora… i Verdi?); 3) che «Nichi Vendola, cui riconosco una leadership indiscussa» dovrebbe chiamare per le elezioni regionali e discutere e lanciare nuove alleanze con «Udc e il Sud di Adriana Poli Bortone; con i quali Vendola dovrà eventualmente discutere la scelta del candidato presidente alla Regione, se non dovesse esserlo lui».

Per conto… suo, il candidato designato per vincere, Pierluigi Bersani completa e precisa questo “progetto” insistendo sulle due radici del suo Pd (quella del cattolicesimo – democratico – e quella del socialismo – riformista) e sulla scelta di una legge elettorale proporzionale, con preferenza “tedesca” cioè Casiniana. Intanto il Pd resta il coautore, con Berlusconi, di leggi elettorali che hanno di fatto, ormai sempre più dal 2005, tolto i diritti politici e civili ai cittadini italiani che non siano acquisiti al selvaggio monopartitismo (“bipolare!”) e alle sue due componenti del Regime antidemocratico, populista e antipopolare. Ma, quel che ci appare ancor più grave e chiaro è il non detto dalemian-bersaniano; che riguarda la politica estera e quella comunitaria di piena loro coincidenza “strategica” con le tappe del quotidiano rotolare, per mera forza di gravità, nella totale subalternità al “G1” berlusconiano.

Così «la Libia è strategica» e si fa da anni a gomitate con il Silvio nazionale nella tenda di Gheddafi, si vota “unanimi” e bipolari gli accordi con lui; non si fa una piega sulla politica fraterna con il democraticissimo Putin e i suoi gasdotti; con la sua politica caucasica, non ci si occupa troppo di tibetani, uiuguri, laotiani, delle minoranze vietnamite, cambogiane, mongole e dintorni; di federalismo spinelliano nemmeno più l’ombra, continua ad imperversare la linea dalemian-berlusconiana inaugurata al tempo della “pericolo Bonino”

In Rai si fa fuori Corradino Mineo colpevole solo di aver quadruplicato gli ascolti; e si ottiene – senza mostrare di accorgersene – che nel periodo che va dal primo settembre a oggi i Radicali non siano andati nemmeno un secondo in voce nei principali tg…

Per finire, l’osservazione più grave: D’Alema conosce benissimo l’origine del “successo” del sanguinario Dittatore libico. Fu quando, nel marzo 2003, operò, letteralmente, come killer del presidente Bush per tentare di impedire la liberazione pacifica dell’Iraq con l’esilio ormai accettato di Saddam Hussein. Quella guerra fu scatenata da Bush, con la collaborazione essenziale di Blair e di Berlusconi, per impedire la liberazione dell’Iraq con la pace, ormai praticamente assicurata. La democrazia e la suprema legge degli Usa, del Regno Unito, della Repubblica italiana furono in quella occasione – e a lungo – letteralmente tradite. Crimine massimo in qualsiasi Paese civile.

Per questo la nostra e mia responsabilità è chiara e obbligata, e l’assumiamo senza riserve. D’Alema, Bersani, il Pd?