Per me sarebbe troppo facile utilizzare questo spazio in questo week end per parlare delle elezioni romane.

In realtà vi voglio raccontare di tutt’altra cosa. Tenere aperto un dialogo con i propri figli, non solo è un dovere di padre, ma, per chi fa il mio mestiere, è il modo più straordinario per entrare in relazione con il mondo dei giovani, nelle sue diverse sfumature, con il loro linguaggio, le loro pulsioni, le loro aspirazioni.

Mia figlia quasi diciottenne, che va verso una carriera artistica, si è fatta contaminare dal rock. Ascolta quasi la stessa musica che ascoltavo io a vent’anni; è stato un viaggio interessante nella mia memoria con lei: è stato divertente farle scoprire oggi i Guns N’ Roses, domani i Pink Floyd, i Rolling Stones, ascoltare i Beatles.

Attraversare con lei le ragioni della storia, del punk, dei Sex Pistols, dei Ramones.

Insomma, la mia cultura musicale onnivora, si è specchiata in un afflato a cui lei ovviamente ha aggiunto le sue scoperte, la musica contemporanea.

Mio figlio, invece, quindicenne, più criptico, meno estroverso, e che ancora non ha confessato (io so che lui sa bene che cosa vorrà fare nella vita) la sua aspirazione e il suo percorso finale, forse perché in cuor suo pensa troppo in grande. E, tra ambizioni e pudore a quindici anni, prevale ancora il pudore almeno con i genitori.

E’ il tipico smanettone; da lui imparo molti trucchi della rete, molti nuovi siti, molte nuove tendenze; e lo affronto con lo stesso piglio con cui non si dovrebbe affrontare. L’altro giorno gli ho risposto: “Nico, ehi non ci sto dentro” e lui è scoppiato in una risata, come se avessi detto la peggiore cazzata di questo mondo. In effetti mi sono reso conto che era un’espressione che ha fatto ridere pure me, perché non mi apparteneva.

Però assume posizioni radicali sul futuro sul paese che gli stiamo lasciando; in questo senso è più radicale di mia figlia. Entrambi sono due, ovviamente contestatori, ma mentre mia figlia dialoga, discute e spesso aggredisce le posizioni paterne sulla politica, le questioni sociali, sui fatti di cronaca, mio figlio assume una posizione di superiorità come se lui fosse portatore di una verità che io non sono ancora in grado di conoscere e il “sì, vabbé papà ok hai ragione tu” è terribile e non avrei mai voluto sentirmelo dire.

Allora c’è un modo per cercare di capire. Quello di farsi piccoli, di smettere di enunciare principi e affrontare piani storiografici e trasferire le proprie esperienze come un modello e semplicemente domandare: “ehi, ma cosa ascolti?”.

E’ questo che ho chiesto qualche tempo fa, e lui mi risponde: “Una canzone che dura venti minuti”.

Già io pensavo a Guccini. E lui mi risponde “No non è Guccini” – ridendo con un’aria di superiorità come se qualcuno a me trent’anni fa mi avesse detto che ascoltavo i Casadei o Julio Iglesias – “sto ascoltando Dargen D’Amico”.

Dargen D’Amico?

Io con molta pazienza mi armo del mio i-Pad e mi compro una ventina di brani di questo Dargen D’amico e di nascosto me li ascolto. Mi accorgo senza alcun dubbio che dal punto di vista delle immagini, delle cromature, questo signore milanese è più che interessante, che all’interno contiene diverse innovazioni di linguaggio, stilistiche, incredibilmente mi ritrovo a scoprirlo gradevole. Poi mi impegno ad ascoltarlo.

Certo il ritmo del rap, per chi di eversivo ha avuto il reggae è difficile in prima battuta, ma per chi ha adorato i cantautori italiani e ha passato giornate ad ascoltare i poeti a braccio toscani, in fondo non è una cosa del tutto lontana. E poi nei testi trovo effettivamente un messaggio politico, un disagio forte di una generazione che viene rappresentato, descritto attraverso immagini sentimenti linguaggi metafore fortemente innovative, distanti, lontane, frutto di una istanza, di una relazione da cui non appare oggettivamente una speranza, una prospettiva, ma una consapevolezza, semplice e naturale: che il mondo che noi abbiamo lasciato a loro è peggiore di quello che i nostri padri hanno lasciato a noi.

E allora devi passare dall’offerta di pedagogia a una richiesta di perdono. E lo scambio diventa più simpatico, più leggero, anche meno impegnativo e arrivano altri autori. Non gli Articolo 31 che ormai appaiono, e vengono definiti dai rappari come una forma commerciale e sputtanata di giambellino, ma magari i 2finger, o l’’ultima canzone di Dargen D’Amico che se la prende non con gli sms alla madonna, ma con il Presidente Obama.

Insomma è un mondo, il mondo di mio figlio, il mondo di mia figlia, che è molto legato a quello che hanno sentito, ascoltato in famiglia, visto, vissuto, che è ancorato ai valori, che hanno visto perpetrarsi nell’amore tra me e mia moglie che continua splendido ad attraversare ogni tempo, che fanno i conti con un padre un po’ fuori dagli schemi.

Ma devo dire che se, un padre, un buon padre, si misura da come vengono su i suoi figli, forse è un buon giorno per dire, senza auto-assolvermi che ho imparato a essere un buon padre anche ascoltando Dargen D’Amico. Anche se pure a me, la Madonna non mi ha mai risposto agli SMS.