Mi ha colpito un cartello in Spagna: “Save the people not the banks”.

Lo scenario italiano è molto semplice: il problema del Paese non è più Berlusconi. La differenza tra Berlusconi e Monti è che Monti ha tagliato nella carne viva della gente, ha aumentato le tasse, è un soggetto credibile a livello internazionale ma i risultati che ha ottenuto sono del tutto simili a quelli di Berlusconi, quindi non è più una variabile.

A livello europeo l’idea della Spagna, che attraverso il voto avrebbe assunto un governo capace di affrontare la crisi in atto, è stata un fallimento. Così come in Grecia dove si è votato due volte per essere a un passo dal default. In tutto questo c’è una Germania ottusa e egoista che non sembra voler sentire ragioni.

Siamo di fronte a miliardi di euro di derivati, di titoli tossici, secondo qualcuno pari a sei volte – SEI VOLTE – il Pil mondiale, cifra di una tale dimensione che non si riesce ad immaginare quanti anni e con quali sacrifici, e di chi, si possa risanare questo buco, frutto di speculazioni totalmente indipendenti dall’economia reale.

Questa situazione si colloca in uno scenario molto complesso: oggi abbiamo dei governi che non hanno gli strumenti per governare perché hanno ceduto pezzi di sovranità nazionale e una classe politica che appare ai cittadini preoccupata di tutelare i propri interessi e incapace – soprattutto in Italia – di dare quella spinta per fare le riforme necessarie per ammodernare il Paese.

Gli Stati, privati della loro sovranità, sono diretti, in quelle che sono le linee strategiche, dalle banche centrali, dalla Bce che sembrano vogliano far prevalere gli interessi del sistema finanziario bancario rispetto a quelli dell’opinione pubblica e, di conseguenza, l’idea che passa è che, come in Spagna, per salvare le banche si licenzino i minatori, si taglino i sussidi di disoccupazione e si blocchino le tredicesime. Ecco perché “Save the people not the banks”.

Un minatore, che non ha certamente una vita facile e che deve rinunciare al suo posto di lavoro per salvare le banche, non capirà mai quale è il vantaggio che ne avrà e quale vantaggi potrà averne suo figlio da questo sacrificio, così come un disoccupato, che vede ridursi il suo indennizzo da 500 a 350 euro, non potrà mai capire cosa se ne farà la banca dei suoi 150 euro.

Il problema è che passa l’idea di un mondo dove qualche migliaio di speculatori ha apparecchiato e gozzovigliato con il nostro futuro. E la prospettiva, per pagare non si sa chi e rimborsare chissà chi, è la diffusa povertà.

Appare una trappola senza via d’uscita, perché gli Stati non sono indipendenti: hanno bisogno di finanziare il debito e i debiti li stanno soffocando e le regole non le stabilisce né la politica né gli stati. Risultato: avevano ragione i Maya!

Se qualcuno pensa che si possa andare avanti così si sbaglia di grosso, qualcosa di simile a un concetto di rivoluzione ormai serpeggia sotto una chiave di rivolta e qui le strade sono due: o fai la rivoluzione o la rivoluzione ti si fa!