Ieri sono rimasto colpito da uno scambio di agenzie tra Gianfranco Miccichè e Angelino Alfano, sullo sfondo le polemiche che hanno contraddistinto gli ultimi mesi sottolineate in questo caso da una battuta di Miccichè che ai più è parsa infelice. Infatti il paragone tra il popolo siciliano con quello ebreo può apparire non opportuno.

Il genocidio pratica terrificante ha attraversato la storia, da quello che sterminò i Catari a quello che decimò gli indiani d’America, andando indietro nella memoria me ne tornano alla mente almeno una decina, ma le Nazioni Unite riconobbero solo dopo l’Olocausto il crimine di genocidio all’Assemblea generale dell’11 dicembre 1946 , con la risoluzione 96 che recita tra l’altro:  “Una negazione del diritto alla vita di gruppi umani, gruppi razziali, religiosi, politici o altri, che siano stati distrutti in tutto o in parte”.

Il 9 dicembre 1948 , fu adottata la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio che, estende il concetto stesso di genocidio, definendo: “…Come causare seri danni fisici o mentali a membri di un gruppo; Influenzare deliberatamente le condizioni di vita di un gruppo con lo scopo di portare alla sua distruzione fisica totale o parziale…”

E’ a questo che si riferiva Miccichè?

Al popolo siciliano viene negata la speranza di avere un futuro, schiacciato dal mal governo atavico, dalla mafia, dai saccheggi capaci di produrre nel tempo la cancellazione di un identità di popolo che non gli viene riconosciuta?

La Sicilia è animata da un popolo che non è nazione, un popolo a cui manca un destino. La sua classe dirigente ha “ Influenzato le condizioni di vita di portando la Sicilia ad un annientamento economico, politico e culturale?

Non saprei, ma di certo la classe dirigente di questo Paese come quella siciliana ha fatto molto poco per alimentare la speranza del futuro, ma non credo si tratti di genocidio, il paradosso è fuori proporzione, come del resto è fuori proporzione la reazione di Angelino Alfano, perché il destino di questo popolo resta sospeso tra rassegnazione e declino.