E’ la dura legge del mercato. Quando la politica si basa su offerte, molto simili a quelle del supermercato, con un linguaggio non lontano dalla semplificazione del tre per due, il brand si riempie di contenuti intrinsechi, un marchio acquisisce un valore simbolico capace di veicolare messaggi che vanno oltre la sua rappresentazione. Per anni Silvio Berlusconi e’ stato un brand capace di fare la differenza, di evocare discontinuita’, cambiamento, modernita’. Per anni il suo brand e’ stato garanzia di vittoria. Dalla vittoria del 2001 al pareggio con Prodi nel 2006, dalla vittoria della Polverini a quelle di Alemanno e Cota. Insomma, e’ stato il fattore “K” che ha fatto al differenza.

Fa quindi molta impressione vedere che il candidato del centrodestra in Molise, Iorio, ha cancellato il nome del Cavaliere da tutte le liste e dai i simboli collegati alla coalizione, ponendo il veto ad ogni suo comizio preelettorale su tutto il territorio regionale. Cosa che non e’ riuscita alla Moratti ne’ a Lettieri. E il giorno dopo le amministrative, potete star certi, che la eventuale vittoria di Iorio verra’ contrapposta alle sconfitte di Milano e Napoli. Oggi, quindi, nel partito abbandonato da Gianfranco Micciche’, mal tollerato dai Vizzini, dagli Scajola, dai Pisanu, dai Formigoni e dagli Alemanno, questo brand non funziona piu’. Restano attaccati solo dei sotto-brand come Alfano, che di giovane ha solo l’eta’ anagrafica, e la Santanche’, che di femminile ha solo la carta d’identita’. Sempre pronti a giustificare e ad assolvere, determinando e accelerando il declino di quello che e’ stato il marchio piu’ potente della politica italiana. Incapace di autogovernarsi e di mantenere le aspettative. Si’, le aspettative, i marchi e i brand che rappresentano uno spazio emotivo, una proiezione del desiderio che Berlusconi non e’ riuscito a soddisfare.

Eppure gli italiani gli hanno dato quasi vent’anni e davanti a se’ ha ancora un anno e mezzo, non per stabilire come continuare a generare nuove aspettative, ma per definire quale sara’ il valore nella storia. La Chiesa cattolica, la Confindustria, gli imprenditori, la gente comune: tutti lo guardano non piu’ come la soluzione dei problemi, ma come “il” problema. Confinandolo in una dimensione a lui ignota che rifiuta di accettare. L’unico vantaggio che resta e’ la mancanza di brand alternativi. Perche’ i Vendola, i Di Pietro e i Bersani, sono null’altro che la riproposizione di schemi vecchi che gli italiani hanno gia’ respinto. Si apre, quindi, lo spazio per una NewCo, per una nuova proposta che sappia interpretare i linguaggi, i desideri e i problemi reali della gente comune.

Pero’, sia chiaro, che se dovremo assistere alla “restaurazione” dei Vendola, dei Di Pietro e dei Bersani o piuttosto all’avvento del nuovo che avanza, tutto dovra’ necessariamente passare per il voto degli elettori. Ne’ complotti ne’ manovre di palazzo. Perche’ in un Paese in cui la Bce ha gia’ tolto una fetta di sovranita’ popolare, non e’ accettabile che agli italiani venga sottratto anche il diritto di scegliere chi lo debba guidare.