Napolitano, il presidente della Repubblica italiana, nel giorno del primo maggio chiede lavoro; ma a chi lo chiede? E chi deve darlo?

Il ministro del lavoro Elsa Fornero emblema di un governo di depressi e frustrati ci annuncia che questo non è un bel primo maggio: brava! Un’osservazione fantastica visto che, anche nel giorno della festa dei lavoratori, è volato un altro muratore da un’impalcatura, e visto che i manovali si sa che non hanno le ali, ci è rimasto.

È la festa del lavoro, di un lavoro che non c’è; di un lavoro che non sappiano se tornerà e come tornerà.

Intanto, mentre si festeggia, cresce come e più dello spread il conto dei lavoratori che cadono lavorando, che si uccidono per mancanza di lavoro, affratellati agli imprenditori che lastricano le vie di questa crisi e a cui pare non esserci mai fine.

Intanto si festeggia. Il futuro, la passione e la speranza erano le parole d’ordine del concertone del primo maggio organizzato dalla triade Cgil-Cils e Uil in piazza San Giovanni; tre grazie rappresentate da tre di-sgrazie: Angeletti, Bonanni e Camusso, tre cariatidi che con il futuro non hanno nessuna confidenza, loro che rappresentano gli interessi di pensionati ed esodati, poveracci a cui il futuro è stato negato.

È festa, e il pensiero corre a Torino e ai fischi a Fassino, emblema di un primo maggio in cui le bandiere della sinistra sono state spezzate dall’ambiguità di interessi opachi e dalla cattiveria gramsciana che ha seppellito un’idea di superiorità difesa dal servizio d’ordine della sezione Masi Tavecchia, fatta di panciuti e anziani compagni assediati dal colesterolo che a Portella della Ginestra vengono seppelliti dalle metafore di Bersani e dagli schiaffoni dei compagni che sbagliano della No Tav.

Corre, corre il tempo freddo di questa primavera che tarda ad arrivare mentre mi domando chi ha scritto i testi dei presentatori del concertone che stonano più della maggior parte dei cantanti, che si affollano su un palco che mette in scena la retorica noiosa di un progressismo senza progresso, di idee senza creatività, di politicanti senza politica, di tecnici senza sapienza di musica senza musicanti di teste di cazzo dall’aria saputa e inconcludente.

È la festa del lavoro senza lavoranti e lontano dai lavoratori.

Triste, opaca e noiosa.