Dopo la notizia sulla richiesta di assoluzione nell’ambito dell’inchiesta Laziogate ho deciso di dedicare questo post a Francesco Storace, per confermare non la fiducia nella magistratura ma nell’uomo. Riporto di seguito quanto da lui scritto sul suo blog.

“E’ dal 2005 che porto addosso la croce chiamata Laziogate. Nel 2006 fui addirittura indagato, ero ministro, mi dimisi non appena lessi sul Corriere della Sera – era il mese di marzo – la notizia che poteva esserci stata un’azione di spionaggio ai danni di Piero Marrazzo e Alessandra Mussolini ordita su mia commissione.

Lasciai immediatamente il ministero, pur non essendo parlamentare e rischiando l’arresto immediato: nessuno mi aveva notificato un avviso di garanzia, il Corriere aveva saputo tutto da palazzo di Giustizia dove nel frattempo mi iscrivevano nel registro degli indagati – senza comunicarmelo – per associazione a delinquere, spionaggio (si dice interferenza illecita nella vita privata) e violazione dell’anagrafe del comune di Roma. Credo anche, ma non vorrei ricordare male, per aver ordinato la falsificazione delle firme della lista Mussolini.

Da senatore fino al 2008, e poi da consigliere comunale fino al 2010 ho seguito con disciplina ogni udienza del processo di primo grado, affidandomi alle cure di due avvocati che sono anzitutto due amici, Giosuè Bruno Naso e Memmo Marzi, che mi hanno difeso come un fratello. E poi circondato dall’affetto degli altri imputati. Tutti sapevamo e sappiamo di non aver fatto nulla di male.

Il rammarico era aggravato dall’ostracismo interno al mio partito, Alleanza nazionale. Quella storia la rivivo ancora oggi, l’accordo alle comunali del 2006 di Alemanno con la Mussolini, la progressiva estromissione dal vertice, fino alla decisione di andarmene. Oggi lo posso dire: in An l’aria si era fatta irrespirabile. E prima o poi a una persona dovrò chiedere conto.

Quindi, il 5 maggio del 2010, la condanna a un anno e mezzo di galera. Niente associazione a delinquere, niente spionaggio, niente di tutto questo, ma istigazione a violare l’anagrafe del comune. Le firme erano false, ma non bisognava dimostrarlo…

Alla sentenza del giudice si aggiungeva quella di Alessandra Mussolini: “Tanto in galera non ci va”. Cioè, non bastava avermi fatto perdere le regionali, lei con i suoi compari, mi voleva anche dietro le sbarre.

Ora, questa richiesta dell’accusa, assoluzione. Vedremo la sentenza dopo le udienze del prossimo 9 luglio e del primo ottobre. L’aspetto serenamente, assieme ad una famiglia che ha sofferto tantissimo in questi anni, e a una comunità che ha sempre creduto nel suo leader e che da ieri mi sommerge di messaggi.

Siamo gente capace di restare sempre in piedi. Ancora una volta lo abbiamo dimostrato”.