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C’è una doppia chiave per leggere i dati del nostro ultimo sondaggio, quella dei partiti e quella del governo. Nel primo caso a vincere stracciando tutti le altre forze politiche è il partito di Umberto Bossi. Nel primo mese del nuovo anno la Lega Nord ha superato il record storico del 1996. Allora i leghisti correvano da soli contro Prodi e Berlusconi e colsero per la prima (e unica) volta le due cifre: 10,6%. Ora sono accreditati all’11%, un’enormità. Specie se si considera cosa significhi questa percentuale nelle regioni settentrionali.

Il PDL arretra ancora e scivola al 38%, ovvero la percentuale pre?Tartaglia. L’effetto souvenir è svanito e il partito del premier stenta a svegliarsi dall’intorpidimento che lo ha caratterizzato anche nella definizione delle candidature alle elezioni regionali, in testa il caso Puglia.

Ma se Berlusconi trova poche soddisfazioni dalla sua creatura, ha comunque di che consolarsi: la fiducia di cui gode tra gli italiani è altissima e stabilizzata al 61%. Il governo, 7 punti indietro, cresce comunque di un punto percentuale nell’ultima settimana.

Insomma, per l’opposizione c’è veramente poco da fare.

Infatti Udc, Pd e Idv restano relegate al 32% con Bersani al 26%. Crescite e diminuzioni si traducono in travasi di voto che non intaccano il consenso delle forze di maggioranza. Un gioco a somma zero nel quale se il Pd passa dal 27,7% al 25,5%, l’Idv passa dal 6 al 6,2%. Roba da perdere la testa.

E infatti dopo aver confermato l’alleanza, Di Pietro e Bersani litigano nuovamente: De Magistris (Idv) si mette di traverso rispetto alla candidatura di Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno, a governatore della Campania.

Il centro sinistra è diviso e rischia così di buttare al macero l’ultima residua speranza di confermare una regione in mano alla sinistra dopo la breve e lontana parentesi dell’aennino Antonio Rastrelli (1995?1999).

A crescere è l’Udc, ma anche in questo caso ciò accade a scapito dell’Api di Francesco Rutelli. Con queste dinamiche non si capisce bene come farebbe a decollare la Kadima italiana, il cosiddetto Grande Centro di cui hanno parlato nelle settimane scorse alcuni sondaggisti.

La parabola discendente di Bersani rilevata, a pochi mesi dall’elezione del segretario del Pd e alla vigilia delle elezioni regionali, un’ipoteca pesante che nessuno ha intenzione di rilevare, neppure in minima parte. Tantomeno Romano Prodi che, con fermezza, ha rifiutato di salvare il partito che ha fondato dalla crisi che è in corso a Bologna, la capitale economica, politica e morale del Partito democratico. Il Clandestino

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