Nel guardare le immagini del congresso della Lega Nord a Milano, il richiamo allo Sturm und drang è immediato. Il riferimento al Romanticismo, a quel movimento culturale e artistico a cavallo tra ‘700 e ‘800 è chiaro soprattutto per la capacità straordinaria della Lega di rappresentare la realtà con un linguaggio che non si allontana dai miti cavallereschi del Romanticismo.

D’altronde la Lega è un museo vivente, se qualcuno volesse capire e conoscere come funzionavano i partiti nell’800 avrebbe una sola possibilità: quella di girare per le sezioni della Lega, parlare con i leghisti e con i loro leader.

La rivendicazione etnica contro l’integrazione, lo specifico contro il generale, una narrazione mediatica che non ha fondamento nei territori e che non ha identità. La Padania sarà “romantica” ma inesistente, se camminiamo per le vie del nord non troveremo nessun milanese, pavese o bellunese che si definisce padano, ma questo lo sappiamo.

La debolezza del messaggio politico, l’idea della fine degli Stati nazione, combattere ciò che si è sostenuto fino a ieri, mettere in scena il proprio fallimento sono passaggi tragici di una tragedia melodrammatica quasi da commedia shakespeariana. Tutti gli elementi della narrazione sono a loro posto. Politicamente e programmaticamente il discorso di investitura di Maroni non regge: era privo di carisma, tutto proiettato all’interno, teso a gestire la rappresentazione, a tenere unita la sua comunità che non è il suo corpo elettorale. Un lungo discorso rivendicativo, secessionista, antistorico che Bossi avrebbe fatto molto meglio dieci anni fa.

Ma quello che garantisce l’esistenza della Lega e che garantirà il futuro non è il contenuto politico, che contenuto politico aveva la Padania, il dio Po, il sole delle Alpi e in che misura ha coinvolto i popoli del Nord? La risposta sta nei risultati elettorali consegnati alle ultime elezioni amministrative, ma la forza della Lega sta nella sua simbolica rappresentazione, in quello che poco fa dileggiavo: nell’Alberto da Giussano, nella battaglia di Lepanto, nel mito cristiano antislamico, nelle ronde padane, nelle camicie verdi.

In un momento in cui la società declina, i partiti e le organizzazioni politiche si dissolvono e impattano con la difficoltà di entrare in relazione con la rete che diventa sempre più invasiva, pervasiva, perturbante, nell’era del post moderno, dell’ipertecnologico, del digitale, la Lega si presenta – e ha un suo perché – come un movimento “New Romantic”.

E questo gli dà uno spazio nelle zone del nostro Paese dove ancora necessitano di forti simboli di identificazione, che restano marginali ma resistono. Nell’era digitale, un partito “New Romantic” non ha grande futuro, però legittima sicuramente il suo presente. A questo drammone, messo in scena come una tragedia greca in cui ogni attore recita la sua parte, Maroni ha posto l’unico obiettivo di concretezza, l’unico fronte dal quale può generarsi una prospettiva: quello dei sindaci e dei presidenti di regione.

Fermo restando che deve risolvere il problema Formigoni, Zaia è uno dei presidenti di Regione più amati d’Italia e Cota non va male e Tosi, lo sappiamo, non ha vinto ma ha stravinto le ultime elezioni, unico nella Lega.

Una schiera di amministratori capaci di interpretare i bisogni della gente, che si occupano di cose concrete, di prossimità, puntuali, attenti, che bisogno hanno di questa impalcatura, di questo cerone verde e ridicolo con il quale si coprono la faccia? Che bisogno hanno della Padania, del dio Po, e di tutta questa serie di cazzate che ne delegittimano la prospettiva storica e il posizionamento sul piano della realtà moderna?

Maroni ha deluso, per tenere unita la sua comunità ha rinunciato a parlare di modernità che era una promessa che oggi rimane incompiuta. La Lega deve abbandonare le fiabe, le storie e le panzane e mettere in scena – come ha detto giustamente Maroni – la parte migliore di sé che è anche una parte migliore del nostro Paese. Rivendicazioni contro il Sud e contro Roma oggi condannano chi le fa e non certo chi le riceve.

Ma vi è un’immagine plastica che consegna alla storia e che rappresenta più di qualunque altra cosa questo partito “romantico” legato al passato ed è l’immagine piangente del guerriero, di Bossi che cita Salomone e che consegna suo figlio, quello vero, la Lega al suo amico-nemico mettendo in scena la tragedia tutta romana che ricorda le Idi di marzo, anche se manca Cesare e soprattutto Bruto.

Ma non manca la pugnalata ed è per questo che salutiamo Bossi nel modo che lui non avrebbe mai immaginato: Ave Bossi, morituri te salutant.