Di Dimitri Buffa – Oramai il pacchetto sicurezza voluto dai leghisti, quando erano al governo con il Pdl all’insegna del “più carcere per tutti”, e scritto dallo staff del ministro Maroni, non esiste quasi più. E’ stato spazzato via dalla Corte Costituzionale che con numerose sentenze, quasi tutte redatte dall’ex presidente dell’Unione delle camere penali Giuseppe Frigo, poi indicato come giudice costituzionale dal Parlamento con il placet del Pdl, ha stabilito il principio che la libertà individuale dei cittadini in attesa di giudizio non può mai essere sacrificata con degli automatismi che derivino dal fatto che a un imputato sia contestato un reato molto o estremamente grave.

Si era infatti verificato un impazzimento legislativo e mediatico negli anni tra il 2001 e 2006 e poi in quelli tra il 2008 e il 2010, che aveva portato i governi succedutisi, di centrodestra o di centrosinistra, a scegliere nella scorciatoia definita “sicuritaria” la strada per tenere buona l’opinione pubblica. Tratta come al solito da popolo bue. Così erano stati amplificati i fatti di cronaca nera da tutti i media, in particolare televisivi, e da lì a ottenere un supplemento di legislazione penale emergenziale e e punitiva il passo era stato breve.

Totale? Nonostante le statistiche indicassero addirittura una lieve flessione dei reati di sangue erano state varate norme anti tutto, stupro, mafia, omicidi in famiglia, stalking, che pur con tante buone intenzioni avevano finito per creare un’infinità di errori giudiziari e la totale ingestibilità delle carceri italiane. Piano piano tutte le norme che prevedevano la custodia cautelare automatica per questi reati sono state smantellate.

Da ultimo, con la sentenza 57 dello scorso 29 marzo redatta dal giudice Giorgio Lattanzi, è stato annullato anche l’automatismo del carcere per quasi tutti i reati strumentali all’associazione di stampo mafioso prevista dal 416 bis. Più precisamente “dell’art. 275, comma 3, secondo periodo, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 2, comma 1, del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis cod. pen. o al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure”.

Secondo la Consulta in ogni caso “il giudice dovrà valutare gli elementi specifici del caso concreto, tra i quali l’appartenenza dell’agente ad associazioni di tipo mafioso ovvero la sua estraneità ad esse”. Quindi non sarà possibile più arrestare, e soprattutto mantenere detenuto per anni, negando persino gli arresti domiciliari, un detenuto in attesa di giudizio definitivo solo perché l’ipotesi accusatoria parla di mafia. Perché la libertà per i giudici della Corte Costituzionale è il bene assoluto del cittadino e senza di essa non esiste neanche il concetto di “sicurezza”. Che spesso viene usato demagogicamente dai politici a scopi elettoralistici.

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