Nicola Zingaretti è una persona seria, è un vecchio figiciotto, qualcuno che sta tra il cattolico fuori dagli schemi e il rivoluzionario moderato, uno di quelli che ha visto venir giù tutto e si è adattato a qualsiasi cosa.

Distaccato con le persone che non conosce, capace di fare dei propri difetti dei tratti caratteriali. Così politicamente corretto e sempre al suo posto che non scoprirete mai fare apprezzamenti su una bella signora o soffermare il suo sguardo su dettagli anatomici delle passanti. Oggi Nicola Zingaretti fa il presidente della Provincia, un ente di secondo livello, disciolto.

E’ più di un anno che Nicola Zingaretti è stato prima candidato in pectore al Campidoglio poi, da luglio, forse un po’ troppo frettolosamente ha lanciato la propria candidatura, nessuno gli si è opposto se non l’eretica Prestipino. Ma da candidato alla successione di Alemanno lo abbiamo visto poco, ha sofferto delle polemiche sulla nuova sede della Provincia, forse inopportuna per un ente destinato a chiudere, ha sofferto silenziosamente del rinvio a giudizio di uno dei suoi assessori.

Defilato come se non fosse portato alla lotta, alla battaglia, come se gli spazi politici istituzionali gli fossero dovuti, per lignaggio, per diritto. Ma facendo scorrere il tempo, l’idea di una vittoria facile a Roma è stata contrastata da Gianni Alemanno che, in un contesto che lo avrebbe già dovuto vedere soccombere da tempo, non solo resiste e tiene, ma sembra non essere disposto a cedere il passo a chicchessia. E i sondaggi, quelli veri, riservati, indicano con precisione che la sfida contro Alemanno va giocata centimetro per centimetro perché quello non molla, perché dalle sue parti chi molla è un boia.

E allora ecco che il presidente della Provincia, già candidato al Campidoglio, ma ancor più famoso per essere fratello del commissario, coglie al volo l’idea di un salto poco serio e sorprendente: si libera il posto della Polverini e lui ci si butta sopra pensando che quella sia una vittoria semplice, una passeggiata, pensando che quello che si aspetta lui dalla vita sia un tappeto rosso che lo porta al trionfo.

Le magliette, i discorsi, gli impegni, i siti… il ponte narrativo verso il Campidoglio si ribalta, si disconnette e Zingaretti, la persona seria, fa una buffonata che lo porta ad essere candidato del Pd alla Regione Lazio.

Meglio della banda Fiorito farà, non vi è alcun dubbio, ma se il centrodestra avrà coraggio di misurarsi con la gente e riuscirà a uscire da questo abbraccio mortale col suo passato, anche il percorso che porta alla Pisana potrebbe essere meno lastricato di pedali di rose di quanto Zingaretti immagina.

Di certo se da una parte l’insistere caparbio di Alemanno a difesa di un perimetro sempre più ambito e sempre più labile ci consegna un leader capace di attrarre simpatie (sempre che non sia come Davy Crockett a Fort Alamo); dall’altra con questo gesto Zingaretti, la persona seria, appare come un opportunista, uno sceglie la via più facile, che coglie l’opportunità più vantaggiosa, che non accetta la sfida.

Uno iperattivo, agitato costantemente stravolto; l’altro, dal cachemire sempre avvolto, in ordine, con la piega sempre a punto, attende solo di essere incoronato. Peccato non aver visto il duello tra queste due persone, peccato non poter vedere il duello tra questi due mondi, questi due modi di essere uomini, di interpretare la politica. Un vero peccato che tutto sia diventato una fiction.