La settima arte spesso è stata uno strumento di denuncia sociale e politica, penso al cinema underground degli anni sessanta negli Stati Uniti, o alle più recenti apparizioni del premio oscar Al Gore in “Una scomoda verità o al mitico Michael Moore, o anche al neorealismo italiano, o ancor meglio alla forza della denuncia del cinema di Rosi con “Mani sulla citta” del lontano ‘63, o della splendida traduzione del romanzo di Sciascia, Todo Modo, fatta nel 1976 da Petri. Veri atti di denuncia, capaci di svelare alla gente cose nascoste, magari raccontate in modo diverso, con immagini capaci di smuovere le coscienze da cui non si può rimanere estranei. Il cinema così assolve ad un compito culturale che mobilita e modifica il senso comune delle cose che tocca attraverso una narrazione potente che diventa condivisa e fissa nuovi cardini di giudizio collettivo.

Ma nel caso di Gomorra, il film cosa aggiunge alla nostra conoscenza, al nostro sdegno e alla nostra condanna? La camorra è una piaga che il film di Garrone rappresenta senza speranza e anche se dovesse vincere l’Oscar non porterebbe nessun contributo alla lotta contro la criminalità organizzata.

L’Oscar che serve è quello dalla normalità, del lavoro come antidoto alla criminalità, della presenza credibile dello Stato, di una narrazione quotidiana che dia una reale possibilità di scelta ai giovani di quelle zone, capace di radicarsi nei presidi come le scuole e le istituzioni.

Quindi, bravo Fabio Cannavaro che ha rotto il velo del conformismo perbenista e ha detto quello che io reputo giusto, a cui aggiungo che oggi film come Gomorra non sono utili, anzi rischiano di diventare veicoli di propaganda e la presenza nel cast addirittura di boss camorristi dovrebbe far riflettere, perchè è probabile che Gomorra non fosse una dimensione incompatibile con la loro attività altrimenti si sarebbero tenuti distanti, molto distanti.

Cannavaro, napoletano che vive all’estero denuncia gli stereotipi che accomunano gli italiani, ed in particolare i napoletani quelli degli spaghetti, del mandolino e della Mafia che non è solo napoletana, e così poche migliaia di criminali gettano discredito su un intero popolo fatto nella stragrande maggioranza di gente per bene.

Una nuova definizione dell’immagine del nostro Paese nel mondo, una rappresentazione meno parziale, più completa sarebbe un contributo, un’arma non solo contro le bande criminali ma anche contro un annichilimento che porta alla fine di un identità nazionale che è il primo patrimonio di un paese. Dopo Miracolo a Milano il primo film del sodalizio Cesare Zavattini e Vittorio De Sica che trionfò a Cannes nel 1951 sappiamo cosa accadde in Italia, e dopo Gomorra cosa dobbiamo aspettarci?