Ho ascoltato con grande attenzione il discorso di investitura di  Ed Miliband, trasmesso da Rainews24. La rappresentazione di un partito potente, capace di rinnovarsi, di trovare nuovi codici, linguaggi ed anche nuovi leader.

I Labour hanno dimostrato di non avere paura del futuro e di non temere neanche il peso delle sconfitte e dei fallimenti, anche quelli più devastanti.

Mentre in Gran Bretagna il partito è il luogo dove la civitas assume le più moderne forme di convivenza e partecipazione, in Italia dal palco di Cesena, Beppe Grillo gridava basta partiti, trincerandosi dietro problemi veri e portando un populismo distruttivo che di nuovo non ha proprio niente, se non il luogo dove si manifesta: internet.

Mentre in Gran Bretagna un quarantenne non ha paura di scontrarsi duramente  con il fratello Devid per competere per la guida di un partito, in Italia abbiamo assistito all’ultima tappa di un sotterraneo e sottaciuto scontro che dilania la Sinistra da vent’anni, quello tra D’Alema e Veltroni che non ha mai avuto la forza e il coraggio di diventare esplicito.

Mentre in Gran Bretagna i fratelli Miliband mandavano in pensione i sessantenni Brown e Blair, in Italia molti definiscono giovani e su di essi ripongono le speranze per il futuro, leader come Gianfranco Fini o Pierferdinando Casini che attendono ancora pazientemente il loro turno.

Per carità non ne faccio una questione anagrafica, non sono di quelli che sostengono che i giovani siano necessariamente migliori, ma anche il più idiota dei giovani ha un rapporto con il futuro, il domani, il divenire, radicalmente diverso da quello di un settantenne. Inoltre siamo in un’epoca in cui i linguaggi e le tecnologie determinano più che in passato la differenza generazionale. L’Italia è un paese per vecchi ed anche i giovani che emergono lo fanno solo se invecchiano precocemente.