Il prossimo 30 luglio la Cassazione si esprimerà su Silvio Berlusconi.

Se sarà assolto una parte del paese si rivolterà, perché sosterrà che l’assoluzione è nata da pressioni legate al governo e alla ragion di stato. Polemiche durissime che segneranno il paese e toccheranno il Capo dello Stato.

Se verrà condannato, allora a rivoltarsi sarà un altro enclave, quello Berlusconiano, che urlerà al colpo di stato e alla eliminazione per via giudiziaria di un soggetto politico che ancora oggi ha un consenso nel paese di 10 milioni di elettori.

La tragedia è che qualunque sarà l’esito giudiziario, l’effetto che ne viene generato è la perdita di credibilità delle istituzioni e della giustizia italiana.

Un conflitto che attraversa le viscere di un paese stremato, mentre è attraversato da una crisi che sembra non trovare una soluzione. Intanto siamo alle prese con un governo che più che delle larghe intese, sembra essere diventato delle lunghe attese. Un governo che non potrà di certo realizzare quelle riforme funzionali e moderni necessarie a tagliare via apparati, burocrazie, enclavi.

Di chi è la responsabilità?

Gli artefici sono principalmente due:

da una parte c’è la responsabilità politica di Silvio Berlusconi, che non ha fatto quella riforma della giustizia fondamentale per il paese.

Dall’altra c’è la responsabilità della magistratura, di una parte di essa, vera e propria setta, casta, che difende se stessa e che si è eretta a supremo giudice del paese, selettiva nell’esercitare una giustizia arbitraria, incapace di dare risposte credibili, che ha piegato la giustizia a un disegno politico e non certo al rispetto delle leggi, oggi arbitrarie nelle sue applicazioni e sanzioni.

Chi paga le conseguenze?

I cittadini italiani a cui è stata tolta la speranza che questo paese possa avere un futuro sereno e magari felice lacerato da un conflitto senza fine.