suggestioneMia personalissima convinzione è che Vincenzo De Luca non sia assolutamente a conoscenza della inquietante vicenda che lo ha portato alle cronache in questi ultimi giorni. Ritengo anzi che non rientri proprio nel suo profilo: una personalità puntellata da un ego che lo rende incompatibile con certi comportamenti.Se questa mia tesi si rileverà vera, come ritengo lo sia, nulla comunque toglierebbe alla sua responsabilità politica per l’ avere riposto fiducia in una persona che ha sbagliato: se la responsabilità penale è personale, quella politica è tutta sua.
Appurato questo, il principio va applicato sempre e con tutti ma non mi pare avvenga o sia avvenuto.

Il caso Expo, ad esempio, ha visto uno scandalo che ha portato in carcere i collaboratori scelti dall’osannato Giuseppe Sala, che frettolosamente hanno ammesso le loro responsabilità. Tutto ciò non ha certamente impedito che nello stesso partito di Vincenzo De Luca, Giuseppe Sala venisse portato in trionfo come il “salvatore della patria” per avere guidato un’operazione d’immagine fantastica i cui costi economici, ancora ignoti, saranno comunque rilevanti.
Quindi, vorrei capire la differenza tra il caso De Luca e il caso Sala.
Possiamo parlare di differenza di stile tra i due: il modo in cui gestiscono le fasi di crisi è differente e in questo caso tutto gira a favore del secondo ma non basta questo per giustificare l’effetto suscitato dal “Caso De Luca”.
I due hanno funzioni differenti e la candidatura di De Luca e il suo percorso fino ad oggi sono stati una vera e propria odissea giudiziaria, ma anche questo non basta perché non è stato sufficiente a fargli perdere le primarie prima e le elezioni dopo.
Il coinvolgimento di un giudice accentua la drammaticità del fatto, ma anche questo non è sufficiente a spiegarne il clamore.

Trovo invece il clamore nelle carte, nelle intercettazioni, nella loro pubblicazione; lo scandire di documenti che escono puntuali, che trapelano e invadono le prime pagine dei giornali determinando le condizioni di una gogna mediatica dalla quale non ci si riesce a difendere.
In queste ore si definisce nell’opinione pubblica l’idea del merito di un processo che è nella sua fase istruttoria e che non ha oggettivamente consentito neanche agli imputati di disporre di tutti gli elementi per difendersi e senza che nessun giudice si sia ancora espresso. Intanto però l’incedere dell’informazione porta a definire colpevoli e innocenti in una forma di giustizia sommaria che rinuncia ad ogni civiltà, non solo a quella giuridica.
La suggestione corre sul filo dell’informazione e il diritto di cronaca diventa diritto di lapidazione.
Ora, se De Luca dovesse essere veramente estraneo ai fatti non potrà essere risarcito da nessuno in nessun modo. Il rapporto tra la magistratura inquirente e i media sta diventando un cancro che spesso viene corretto dalla magistratura giudicante ma solo per quanto riguarda il profilo penale.

Così i casi si susseguono a raffica: pensate a Raffaele Fitto, a Mannino al Generale Mori, alle recenti 36 querele intentate da D’Alessio (sempre in Campania) e per me e, certo non ultimo, il caso di mio fratello Ambrogio, questi i primi che mi saltano alla mente senza voler dimenticare i casi estremi di cronaca come Sollecito e Bossetti, nonché i tanti altri. Sono migliaia le persone detenute in attesa di processo o ostaggio della carcerazione preventiva, queste si, vittime senza voce e volto, persone annientate e vite distrutte.
La questione della giustizia, di quella giusta, mette in evidenza ormai un sistema malato e inquinato dove la stragrande maggioranza dei magistrati che esercita con equilibrio la propria funzione è soggiogata da un corto circuito diventato insostenibile, del quale ci rendiamo conto solo quando ne veniamo toccati personalmente.
Ma il caso del Governatore della Campania è emblematico: voglio essere chiaro, io non conosco Vincenzo De Luca personalmente, l’ho incrociato mentre mi occupavo della campagna elettorale di Stefano Caldoro, occasione nella
quale non ha certamente avuto parole di apprezzamento nei miei confronti.
Ma da vecchio Radicale non posso non alzare la voce per lui, come ho sempre fatto e farò sempre per chiunque, per dire che la giustizia deve fare giustizia garantendo un giusto processo, che il diritto di difesa non può avere deroghe. Quello che sta accadendo nega tutto questo.

Dobbiamo avere il coraggio di dire di più: il diritto di cronaca non può farsi carico di morti civili; le intercettazioni non possono essere uno strumento limitato nelle mani degli inquirenti ma non devono neanche finire sui giornali.
Intercettate pure, tanto colui che male non fa nulla può temere, ma senza scordare di regolare seriamente la loro pubblicazione.

Questa è l’emergenza vera, come lo è per altro dare evidenza pubblica alle tesi della pubblica accusa, in quanto determina un oggettivo inquinamento, mettendo la difesa in una stato irrimediabile di inferiorità, che lede il diritto costituzionale di qualunque cittadino, soprattutto quando in gioco c’è la vita di un individuo.

Assistiamo inermi ad esecuzioni capitali, all’annientamento di esseri umani che il processo, quello nelle aule, non potrà sanare: resteranno torti subiti per sempre