Riporto di seguito un articolo pubblicato da Il Giornale a firma di Luca Fazzo:

É una buona notizia per gli indagati, ed è una buona notizia soprattutto per Milano: perché consente di abbassare di un’ottava l’allarme sulla penetrazione mafiosa nella vita politica cittadina.

L’assalto dei clan alla politica esiste, ed esistono i politici – l’ex assessore regionale Domenico Zambetti ne è il più noto esempio – pronti a scendere a patti con i clan per rastrellare voti. Ma non c’è prova che a Milano il crimine organizzato sia in grado di estorcere i voti con la sua forza intimidatrice, come avviene in regioni più sfortunate della Penisola.

Ad attestarlo è la stessa Procura della Repubblica con l’atto notificato la scorsa settimana a Zambetti e agli altri indagati dell’inchiesta che in ottobre portò in carcere l’assessore regionale alla casa, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, e altre 28 persone tra cui il boss Pino D’Agostino e il suo compare Eugenio Costantino. A tutti gli indagati il pm Giuseppe D’Amico ha notificato la richiesta di giudizio immediato per il reato di associazione mafiosa e per una serie di reati minori. Ma non compare nell’avviso il reato forse più allarmante contestato nell’inchiesta, quello di coercizione elettorale. Il reato era contestato, oltre che a Zambetti e al duo D’Agostino-Costantino, anche all’altro colletto bianco finito in carcere: Ambrogio Crespi, professione sondaggista e spin doctor, fratello del più noto Luigi. A Crespi junior, anche lui imputato di concorso esterno in associazione mafiosa, la Procura attribuisce sostanzialmente un ruolo di tramite tra i clan calabresi e Zambetti. E l’accusa di coercizioine elettorale riassumeva così quanto sarebbe accaduto: «in esecuzione del patto di scambio politico mafioso , facendo ricorso alla forza di intimidazione insita nella fama e nel prestigio criminale dell ‘organizzazione mafiosa denominata ‘ndrangheta, in occasione della campagna elettorale per il rinnovo del consiglio regionale della Lombardia esercitavano pressione sugli elettori per orientare il loro voto a favore di Zambetti». Nel dettaglio, secondo la Procura, con questi metodi si sarebbero convogliati a favore di Zambetti 500 voti dalla zona «tradizionale di influenza» dei clan tra Corsico e Buccinasco, mentre tra i 700 e gli 800 voti venivano dal Magentino, e 2.500 da Milano città.

Ora questa accusa cade. Non compare nella richiesta di rinvio a giudizio, e la Procura è orientata a chiederne l’archiviazione. Già nel novembre 2011, il pm D’Amico aveva ritenuto che non ci fossero elementi tali da fare scattare l’ordinanza di custodia in carcere anche per coercizione elettorale. Le indagini successive non hanno fatto compiere passi avanti in questa direzione. E al momento di tirare le fila la Procura ha preso atto che l’ipotesi di migliaia di milanesi costretti a votare per paura dei clan è rimasta, per l’appunto, un’ipotesi.

L’accusa di associazione mafiosa resta in piedi, e si annuncia come il piatto forte del processo che si celebrerà nei prossimi mesi. D’altronde Domenico Zambetti in buona parte ha ammesso le sue colpe, riconoscendo di avere trattato con gli emissari dei clan, anche se ha negato di sapere chi fossero davvero. Mentre invece Ambrogio Crespi continua a negare di avere mai rastrellato un solo voto a favore di Zambetti, e porterà in aula l’analisi dei flussi elettorali che a suo dire lo dimostra. E martedì prossimo le difese si preparano a battagliare per chiedere la distruzione delle intercettazioni ambientali realizzate, dicono, in modo irregolare.

FIRMA LA PETIZIONE PER LA LIBERAZIONE DI AMBROGIO CRESPI