beatlesDi Dimitri Buffa – C’è una generazione, quella di chi scrive, che nel 1968 era troppo giovane per neppure sognare la presa del potere, fantasia o meno che potesse essergli connaturata, e che negli anni ’90 o all’inizio del millennio in corso si è ritrovata come per magia a essere troppo vecchia.

E quindi a dovere lasciare il passo a quelli che oggi a sinistra identificano come i “renziani”. Il tutto senza avere mai avuto il piacere di toccare palla. Sono i nati nel 1960 e negli anni immediatamente successivi.

I mitici “sixties”, gli anni del benessere e del boom dell’Italietta democristiana. Che si preparava, dopo che Amintore Fanfani era riuscito a fare le scarpe ad Alcide De Gasperi, a ricevere il tragico influsso dei socialisti di Pietro Nenni. Con la politica delle nazionalizzazioni di luce, gas, banche ed energia che caratterizzeranno la prima stagione del centro sinistra.

Ma erano anche gli anni della swinging London in Gran Bretagna, dove, invece che Nenni, andavano di moda i Beatles e i Rolling Stones.

O gli anni dell’America dei campus “liberal”, di Martin Luther King e dei due fratelli Kennedy, tutti e tre assassinati in circostanze che rimasero misteriose. O gli anni della Russia della destalinizzazione Krusceviana, che però durò solo un attimo prima che Breznev riportasse l’Urss a rimanere l’Unione Sovietica, rimandando la “glasnost” a 23 anni dopo con Mikhail Gorbaciov.

E in Vaticano c’era Giovanni XXIII che iniziava il Concilio Vaticano secondo, che poi Paolo VI avrebbe portato a compimento. Snaturandolo.

Anni cruciali per la storia, i Sessanta, peccato che chi abbia avuto la ventura di nascervi il potere e anche la fantasia di chi avrebbe dovuto prenderlo li abbia visti entrambi in cartolina.

In Italia i maitres e la maitresses a panser erano personaggi dai nomi noti che oggi occupano seggiole e poltrone superpagate nella politica, nella finanza o nell’editoria: da Gad Lerner a Paolo Mieli, passando per Giuliano Ferrara, da Dacia Maraini a Chicco Testa, passando per Oliviero Toscani.

E tanti altri ancora. Un’intera generazione. Tantissimi, per la cronaca, approdarono negli anni ’80 alla Fininvest di Berlusconi, anche se oggi fanno finta di esserselo dimenticato.

E tantissimi altri dallo stesso Cav hanno ricevuto enormi benefici economici.

I più esposti, nell’ideologia della rivoluzione, come il professor Toni Negri o l’ideologo di Lotta Continua Adriano Sofri, avrebbero conosciuto anche il carcere. Ma sarebbero rimasti comunque nell’immaginario collettivo come il sale di quegli anni. Al massimo compagni che sbagliavano..

Poi dopo di loro? Il diluvio. Arrivarono gli anni ’80, il riflusso e la fine dell’ideologia.

E noi che eravamo rimasti a guardare a bocca aperta i fratelli più grandi che avevano fatto quell’aborto di rivoluzione che sfociò nel terrorismo di sinistra (ma anche di destra), che facevamo a gara a frequentarli, ad andarci a letto o semplicemente a millantarne la conoscenza, ci siamo trovati con un pugno di mosche in mano.

Una generazione perduta come il paradiso di miltoniana memoria. Né carne né pesce. Né rivoluzionari né integrati.

Per giunta alla fine degli anni ’70 era finito anche il benessere e quelli come me persero l’appuntamento con il rampantismo dei neo socialisti degli anni ’80. Poi arrivò il grande freddo di mani pulite e nacque la generazione dei renziani.

E oggi? Siamo tutti dei “vecchi da rottamare” che rimpiangono un’adolescenza che non hanno mai veramente vissuto se non nei sogni scambiati per ideali.

C’è toccato di lavorare e non abbiamo neanche avuto la spintarella da parte dell’ufficio personale dei padroni che i nostri fratelli contestavano nelle piazze.

Padroni che poi se li ricomprarono tutti, i nostri fratelli maggiori, all’insegna del proverbio Tuareg che recita così: “bacia la mano che non puoi tagliare”.

Così hanno fatto carriera tutti gli pseudo rivoluzionari degli anni ’50.

Così ci siamo attaccati quasi tutti al tram, noi nati negli anni ’60.

“BORN IN THE SIXTIES”, UNA GRANDE GENERAZIONE