Giovedì sera aspettavamo a casa Ambrogio. Tutti eravamo pronti per accoglierlo: la moglie Helene, il figlio Luca, Anna, Niccoló, Natascia, Emanuele… io, ma non solo. Quando dico tutti, intendo proprio tutti e per primi gli avvocati, sicuri di avere dimostrato oltre misura l’estraneità di Ambrogio e l’assurdità dell’accusa.

Ma le ore sono passate invano. La tensione, lo stress, l’attesa senza sapere niente sono insopportabili, perché è insopportabile che lui sia chiuso in una cella di Opera, per 23 ore al giorno senza una ragione senza una colpa.

Giovedì è stato il giorno più lungo della mia vita, fino a venerdì, quando un segnale della camera di consiglio è stato atteso minuto dopo minuto.

L’impotenza ti lascia stremato, l’attesa apre a tutte le congetture. C’è chi dice che tutto questo tempo è un buon segno e chi invece lo interpreta al contrario.

Intanto ti accorgi che la cosa non interessa più a nessuno, via dalle prime pagine, via da tutto, Ambrogio Crespi è un errore che deve essere rimosso. Rimosso da chi il giorno dell’arresto lo ha sbattuto sulle pagine dei giornali come un pezzo di carne sul tavolo di un macellaio mente oggi si parla, si pubblica, si discute dell’inchiesta e il nome di Ambrogio è sparito… Rimosso.

La paura forse è che il suo rilascio procuri un contraccolpo psicologico all’indagine o a chi ha condotto questa indagine, che almeno nel caso di Ambrogio si è dimostrato un incompetente, usa il suo potere per nascondere la sua inadeguatezza? Forse, ma ora è sabato e fino alle 14 aspettiamo la telefonata che ci dica: Ambrogio torna a casa.

Oggi è sabato il giorno dopo di tante cose successe che vengono raccontate, ma io aspetterò quella telefonata che mi dica: Ambrogio torna a casa.

E se non tornerà oggi sapremo che il collegio giudicante si sarà preso tutti i giorni a sua disposizione per riconsegnarcelo lunedì.