berlusconi

La sentenza che ha fatto di Berlusconi un uomo innocente è la prova che il nostro sistema giudiziario è contaminato e irrimediabilmente perduto.
C’è chi sostiene che la modifica nella legge Severino (la stessa che ha lo fatto decadere da senatore) avrebbe determinato la derubricazione del reato di concussione. Ma, se così fosse, perché allora il PG ha chiesto la conferma dei 7 anni di reclusione? E perché, in primo grado, Berlusconi è stato condannato per prostituzione minorile, mentre in secondo grado è stato prosciolto? Il reato, in questo caso, non ha subito alcuna modifica legislativa.
Sia chiaro: io non esprimo soddisfazione per il normale svolgimento del secondo grado, ma sono indignato per l’esito del primo. Sarebbe questa la buona giustizia? La triste verità è che chi giudica lo fa troppo spesso senza tenere in alcuna considerazione le carte processuali, i fatti, le prove o semplicemente la legge, ma utilizza una posizione di potere assoluto per imporre una sua idea di società. Questo appare chiaro a chiunque sia in buona fede.
Il potere discrezionale dei magistrati è ormai fuori controllo. E chi resta impigliato negli ingranaggi di questa cosiddetta “giustizia” può soltanto sperare di incappare in un giudice normale, che conosce le leggi e che decide di applicarle in modo distaccato ed equilibrato. Nel frattempo, una parte della magistratura si è trasformata in una casta autoreferenziale che governa fette di potere assoluto.
Nessuna fiducia, insomma, per chi invade la vita delle persone – decretandone la sorte – senza umanità, senza responsabilità, senza conseguenze. La sentenza che ha fatto di Berlusconi un uomo innocente non rappresenta un cambio di paradigma, non è la fine di una guerra.
Oggi, come ieri, migliaia di innocenti sono prigionieri di uno stato che non garantisce loro nessun diritto, nessuna possibilità. Vittime di una carcerazione preventiva medievale, giustiziati senza processo, impiccati tra burocrazia e arroganza. E non sarà certo questa sentenza a ripristinare la fiducia perduta nella giustizia. O la fiducia in chi avrebbe dovuto cambiarla e in chi dice che la cambierà.
Questa sentenza, al contrario, allarga il varco democratico e civile tra uno stato ostile e i suoi sudditi. Di fronte a una sentenza normale, come quella del secondo grado nel “processo Ruby”, dobbiamo prendere atto che è molto diffusa tra gli italiani la convinzione dell’esistenza di un indicibile accordo, uno scambio indecente, tra la paura di Berlusconi e l’arroganza del giovane Renzi. E che quindi l’assoluzione di Berlusconi sia il frutto, non di una “buona giustizia”, ma di un “buon accordo”.
E intanto tutto scorre, ammantato da un velo di ipocrisia. Con la giustizia che resta un campo di battaglia che conta le sue vittime solo tra chi non ha niente da dare in cambio, o non dispone di avvocati e megafoni.
Sono questi uomini lacerati, oggi, le uniche vittime. Questo non è il mio paese. Questa non è la mia patria.