Di Roberto Murgia per Ansa – La comunicazione politica è un’arte, ma in Italia è solo un “bricolage improvvisato”, e già da molti anni. Il più famoso spin doctor italiano, Luigi Crespi, e il giornalista Luca Telese spiegano all’ANSA perché la campagna elettorale per il voto del 4 marzo sarà “corta e noiosa” e come dovrebbero comportarsi, invece, un leader e i suoi collaboratori per fare breccia su chi guarda i manifesti, sente gli spot, segue i candidati in tv e sul web e poi va a votare. Concetti ribaditi a Cagliari dove ieri e oggi è sbarcata “La fabbrica dei leader – political bootcamp“, il master a pagamento organizzato da Crespi, che condensa l’esperienza da pubblicitario, comunicatore e storyteller in vent’anni di campagne elettorali. Tra i partecipanti, gli staff di Pd, Forza Italia, M5S e movimenti sardisti.

“C’è un paradosso, qua proviamo a insegnare ciò che i politici non imparano mai perché solitamente son circondati da staff autoconfermativi – dice Telese, giornalista, scrittore e anchorman – il leader va in tv, nessuno gli scrive un discorso perché lui è convinto di avere cose più interessanti da dire, invece fa brutte figure, poi chiede come è andato e lo staff gli dice ‘benissimo’”. Paradossi della politica italiana. “Nessuno può pensare che George Bush abbia scritto da sé la famosa frase “Read my lips: no new taxes” (leggi le mie labbra, nessuna nuova tassa, ndr)”. Insomma, chiarisce Telese, “dietro c’è uno studio”. Una ricerca che manca nella campagna per le politiche 2018. “E’ pieno di titoli senza pezzo sotto”, argomenta il conduttore. Per esempio? “Messaggi come ‘Aboliamo il canone’ o ‘Aboliamo le tasse universitarie’, quando passano hanno un effetto dannoso”.

Il problema è che “c’è ripetitività, la fantasia è l’anima di una campagna elettorale: Obama senza la fantasia sarebbe stato un solo un candidato afroamericano che nessuno considerava. Il problema è riuscire a persuadere. Bisogna avere il coraggio di creare un messaggio in controtendenza, iniziare con una non promessa, ribaltare l’ordine del luogo comune”. Luigi Crespi ricorda quella volta in cui Margaret Thatcher, alla domanda dell’intervistatrice “i nostri telespettatori vorrebbero che lei si alzasse dalla sedia e facesse un salto”, rispose “Perché dovrei volerlo fare? Non vedo alcun motivo per cui dovrei fare un salto. Io ho fatto grandi passi in avanti, non piccoli saltelli in uno studio televisivo”.

Ebbene, “questo è un tipo di comunicazione divergente, che però diventa affermativa, nel senso che afferma quello che sei e che va in profondità”. In Italia, continua Crespi, “siamo stati per molti anni, tra il’90 e il 2000, la scuola di comunicazione politica tra le più avanzate e le più apprezzate. Quello che ha fatto Obama con “yes we can”, insieme col rapper Will.I.Am, non è molto diverso dal punto di vista tecnico dagli auguri di Natale di Berlusconi nel 2000″. Poi “sono mancati i soldi e il mercato”. conclude Crespi.