Gianfranco_Fini

Feltri è ritornato a sparare a pallettoni, ma questa volta l’invettiva contro Fini rappresenta una sua legittima opinione non supportata da fatti.

Gianfranco Fini in tutti i sondaggi, non solo quelli di Crespi Ricerche è tra le prime tre posizioni tra i politici che godono di maggior fiducia in Italia. Il suo posizionamento “liberal” che Feltri reputa un tradimento, non si è manifestato adesso, ma si tratta di un lungo percorso personale e politico che dura ormai da tempo.

L’invettiva del direttore de Il Giornale nasce come reazione, come vendetta alle dichiarazioni del presidente della Camera sul caso Boffo. La mia opinione sul caso la conoscete ed è inutile ripeterla, e aldilà dei toni francamente fastidiosi di Feltri, il suo errore sta nell’analisi politica: oggi il valore supremo che deve produrre un uomo politico è la credibilità che viene prima della notorietà e della visibilità e Fini caparbiamente, ormai da tempo, sta costruendosi un profilo credibile che rappresenta un investimento per il futuro, che non riguarda il Quirinale, è troppo giovane, ma alla successione di Silvio Berlusconi e per competere con i tanti che aspirano a quel ruolo non può che costruire un suo profilo identitario, così come ha fatto, perché il suo posizionamento da “Movimento Sociale” non gli avrebbe consentito di puntare all’elettorato del PDL che per sua natura è eterogeneo e diversificato composto da ex socialisti, ex democristiani e berlusconiani ed è l’unico, a parte Tremonti, che si sta preparando, alla battaglia del dopo Berlusconi.

Ancor di più, quello che Feltri non può capire è che un partito come il PDL che ha raggiunto quasi il 40% dell’elettorato, per tentare un’ulteriore espansione deve presentarsi con più voci e le differenze devono essere contenute, senza per questo creare confusione o conflittualità.

La voce a volte divergente di Fini è quella che più di tutte mette in difficoltà il Partito Democratico ed è quella che può garantire un’espansione elettorale in quella direzione. D’altronde il PDL è il partito capace di contenere al suo interno Dalla Vedova e Quagliariello, entrambi ex radicali, ma oggi con posizioni diametralmente opposte, ed è grazie a questo è diventato il country party italiano perché chi la pensa come Fini sui temi dell’etica e dei clandestini, grazie alle sue posizioni non si sente estraneo.

Il concetto di destra e sinistra appare invece superato e solo Feltri ne sembra vincolato, ma solo strumentalmente per offendere l’avversario di turno. Non mi appassionano i dibatti sull’identità del mandante di Feltri, e ricordo che non stiamo parlando di un mostro di coerenza: si tratta di un signore che ha spronato Di Pietro durante mani pulite, lo ha riempito di insulti, gli ha chiesto scusa, ha lasciato Il Giornale e vi è ritornato coperto di euro, dove sta la coerenza? Oppure possiamo dire quale prezzo ha la coerenza?

Detto questo c’è una macchia nel passato di Ginfranco Fini che si chiama Francesco Storace. I due hanno molte idee convergenti e se è vero che Fini ha posto il veto su Storace, costringendolo ad una battaglia di testimonianza e impedendogli di svolgere legittimamente il suo ruolo di destra all’interno del PDL, bene sarebbe e aiuterebbe la sua credibilità, che questo veto, venisse rimosso senza indugi e tentennamenti, altrimenti potrebbe si pesare che la “teoria della forza inclusiva delle voci divergenti “ valga solo per Fini e così non è. Il veto verso una voce diversa è un atto di viltà che chi si candida ad essere una guida politica del Paese non si può permettere.