Le elezioni del 2013 acquisiscono un’importanza storica. Segnano la fine di un ciclo senza averne aperti dei nuovi. Chiude anche una serie di equivoci che non hanno retto all’impatto delle urne.

Esattamente 1993-2013 la stagione del centrodestra si apriva proprio nel ’93, quando iniziava un ciclo con il risultato di Fini alle amministrative romane e con l’endorsement di Berlusconi, che fu preludio dell’alleanza che portò Berlusconi a vincere per la prima volta nelle elezioni del 1994.

Dopo 20 anni in cui centrodestra e centrosinistra si sono alternati alla guida del paese e in cui siamo passati attraverso la crisi più devastante degli ultimi cento anni, il paese oggettivamente si sente peggio, sta peggio, è in condizioni peggiori.

Il fatto che questo non sia imputabile a forze politiche non fa altro che certificarne l’impotenza: impotenti davanti ai disastri dell’economia; impotenti davanti ai disastri della natura; con un’incapacità strutturale di comprendere lo stato d’animo della gente, le sue opinioni, le sue preoccupazioni, con un distacco profondo tra i palazzi e chi vive nelle case dei palazzinari.

Ora, il centrosinistra che vince in tutti i ballottaggi può sicuramente festeggiare, anche se la festa non può durare più di un giorno, perché è una vittoria in retromarcia, una vittoria a chi perde di meno e tradizionalmente la capacità amministrativa locale del centrosinistra si è sempre rivelata più efficace di quella del centrodestra.

Non c’è solo Roma, dove la sconfitta è stata ammessa senza infingimenti dallo stesso Alemanno, ma il centrodestra ha perso Treviso, roccaforte leghista, ha perso Brescia, non ha vinto in nessuno dei 16 ballottaggi in cui si giocava questa seconda tornata elettorale. E’ un ennesimo segno della stanchezza dell’elettorato, verso formule burocratiche politichesi, ma anche dell’inefficacia delle soluzioni rivoluzionarie da palco selvaggio alla Beppe Grillo.

Il centrodestra, che avevano già dato per spacciato alle elezioni politiche, ha chiuso a un’incollatura dal centrosinistra, ma perdendo 6 milioni di elettori, un dato non adeguatamente analizzato.

Ora non mi pare di vedere nel centrodestra qualcuno che possa sostenere Berlusconi, che possa rappresentarne una successione, una continuità politica; mi pare di misurare un livello di atterrimento che rende tutto statico, anche se sotto le acque si agitano eccome. E’ sbagliato far convergere la direzione e la guida del partito con chi è alla guida del governo: non consente di riuscire a delineare le posizioni del partito se non attraverso le posizioni dei capigruppo.

Il centrodestra si è adagiato sull’idea di pericolo scampato, l’estinzione annunciata alle politiche che non è avvenuta, ma poi è passata l’idea che oltre a Berlusconi lì non c’è nessuno e chi c’era se ne è andato e ha finito la sua carriera in malo modo. La Lega, ottenuta la guida di tutte le regioni del Nord è praticamente dilaniata da una guerra intestina che non interessa praticamente a nessuno, portando quasi all’estinzione politica quella che fu, proprio all’inizio degli anni Novanta, un’offerta rivoluzionaria di discontinuità. Mentre gli ex An sembrano più o meno condannati o quasi rassegnati al rischio di una irrilevanza politica. Lega, Pdl, ex An: nel centrodestra non sembra ci siano i presupposti per una prospettiva di medio o lungo termine, matura sempre di più l’idea che si resiste, che si ottengono risultati buoni quando c’è Berlusconi, altrimenti…

Dall’altra parte, invece, il centrosinistra, in mezzo a mille difficoltà, la mancata vittoria alle politiche – il defenestramento del suo segretario (che può essere un fatto positivo), il siluramento di figure storiche nella corsa alla presidenza come Prodi e Marini – è riuscito a incubare un processo di innovazione dell’offerta politica che oggi è l’unico in campo: da una parte Enrico Letta, dall’altra Renzi, a cui si aggiungono i vari Civati etc. etc. facendo apparire questo dibattito pre-congressuale come una novità nell’offerta politica, nel linguaggio nella sua rappresentazione, molto forte.

Sembrano racchiudere nelle loro differenze la completezza della domanda politica: da un parte Letta con il nemico ripristina il campo di gioco per una partita regolare, dall’altra Renzi conduce la battaglia dell’innovazione, mentre Civati in qualche modo, mantiene forte l’idea del rinnovamento, ma sembra più fortemente riannodare i legami con la tradizione.

E il centrodestra? E’ carente di figure, oltre a quella di Berlusconi. Alfano ricopre il ruolo di uomo di governo e uomo del partito, non emergono figure giovani o capaci di rappresentare una discontinuità nell’offerta e nel linguaggio. Siamo di fronte a quello che, parafrasando Bauman definiremmo il consenso liquido, cioè privo di consistenza, trapassante, non ancorato a paradigmi ideologici, in continuo movimento in una situazione di inquietudine.

D’altronde, lo spettro che abbiamo davanti è il fallimento delle proposte e dell’azione politica del governo di larghe intese che condannerebbe il paese a una deriva fatta di disperazione.

Oggi in modo plastico abbiamo visto la fine di un’epoca. Ora, o i protagonisti di questa epoca riusciranno a elaborare e costruire fondamenta per un nuovo ciclo, partendo dalle risposte alla gente su lavoro, trasparenza, futuro, oppure dobbiamo rassegnarci e circoscrivere il nostro universo al blog di Grillo o di chi più sapientemente potrà prendere il suo posto.