elezioniQuesta mattina su Il Tempo è stato pubblicato un mio articolo, in cui parlo delle elezioni europee e del peso che potrà avere il fenomeno dell’astensionismo.

Prima che una legge assurda impedisse agli istituti di ricerca di pubblicare i propri sondaggi – e ai cittadini non privilegiati di conoscere la realtà che li circonda – la percentuale di votanti stimata alle prossime elezioni europee si aggirava tra il 52 e il 58 per cento. Gli elettori che andranno a votare domenica 25 maggio, insomma, dovrebbero essere circa 28-30 milioni.

Se a questa cifra si sottraggono le schede bianche e nulle, che di solito raggiungono una cifra intorno ai 3 milioni, il rischio è che soltanto venticinque milioni di italiani esprimano un voto valido per l’elezione del prossimo Parlamento europeo. Questo, con ogni probabilità, sarà il dato più vistoso di questa tornata elettorale, su cui i nostri partiti dovranno sforzarsi in una riflessione profonda.

Se queste stime sono corrette, però, guardare ai risultati percentuali dei singoli partiti può essere estremamente fuorviante. Un vantaggio del Partito democratico nei confronti del Movimento Cinque Stelle valutato intorno al 5 per cento, per esempio, potrebbe essere considerato rassicurante per il partito di Matteo Renzi. In realtà non è esattamente così.

Un punto percentuale, in termini assoluti, dovrebbe valere circa 250mila voti, molti meno di quanti ne servivano quando l’astensione era ridotta ai minimi termini. Cinque punti, dunque, che erano più o meno la media del vantaggio del Pd prima del black-out sui sondaggi, dovrebbero equivalere a un milione e mezzo di voti.

Ma un milione e mezzo di voti non sono tanti, soprattutto in una tornata elettorale poco ideologizzata e in cui il voto «clientelare» pesa meno che al solito. Il fatto, poi, che alle Europee si voterà soltanto di domenica inciderà ancora di più sull’astensione, anche se forse le Amministrative potrebbero essere un leggero elemento di sostegno all’affluenza.

E con un astensione così alta potrebbe bastare lo spostamento di mezzo milione di elettori per provocare smottamenti, in un senso o nell’altro, che soltanto qualche settimana fa erano praticamente impossibili da pronosticare. Mezzo milione di voti, sui venticinque stimati per l’intero corpo elettorale, sono davvero un’inezia in una situazione caratterizzata da un elettorato molto «liquido». Questo dato di fatto ci restituisce uno scenario instabile che, oggettivamente, i sondaggi fanno fatica a fotografare.

Molto dipenderà dall’emotività, cioè dalla capacità che avranno i singoli partiti di mobilitare in modo efficace il proprio elettorato. Ecco perché i leader politici, negli ultimi giorni, sembrano fare a gara nell’alzare i toni dello scontro. Il nodo principale da sciogliere non è più, come in passato, quello di allargare i propri confini, cercando di convincere gli indecisi o di strappare frange marginali di voto ai propri concorrenti. A vincere, in uno scenario del genere, sarà chi riuscirà a giocare meglio in difesa e a perdere meno voti degli altri. Chi, insomma, sarà più bravo ad eccitare, motivare e dunque portare alle urne i propri tifosi. Una campagna elettorale da ultras.

Fonte: Il Tempo