papa francesco

Dopo vent’anni di Berlusconi, l’avvento di Matteo Renzi ha definito in maniera precisa e indissolubile l’importanza della comunicazione nella vita di tutti noi. Comunicazione come rappresentazione e come veicolo di modelli, di linguaggi, di sinottiche: cioè quel bagaglio capace di fare la differenza tra il fare e l’essere, tra un leader e un funzionario.

Matteo Renzi è un uomo che divide nei giudizi in maniera radicale, ma è sicuramente il più bravo comunicatore della storia italiana. Più bravo di Berlusconi, più bravo di Mussolini, in grado persino di mettere un abisso tra sé e i grandi leader storici della sinistra italiana.

La sua capacità di mettere a fuoco gli obiettivi, i temi, il suo rigore narrativo fanno di lui, anche nel caso di errori clamorosi, l’uomo che ha mobilitato la speranza e che ha dato corpo al cambiamento. Quello che gli italiani volevano, lui lo dà. È la risposta a chi è ancora disponibile ad ascoltare.

Poi abbiamo quelli che ormai sono sordi perché annichiliti dalla sofferenza, dalla povertà, dalla disperazione; una fascia di persone che nel nostro Paese diventa sempre più estesa.

In questo blog ho spesso giocato con Renzi, ma ora occorre una parola ultima, e credo che questo post ponga in maniera definitiva per lo meno la mia opinione sul leader del Partito Democratico. Se qualcuno pensa che Renzi sarà giudicato per come governa, si sbaglia. Il confronto con chi ha governato fino a oggi prima di lui, comunque non regge. O Renzi verrà combattuto con le sue armi o chiunque in campo oggi non è neanche in partita.

Renzi non piace per quello che fa, ma perché ci prova. Poi cercare di incasellare con le categorie del passato Matteo Renzi è quantomeno ridicolo: assomiglia a Berlusconi? E’ più Craxi o Berlinguer? Più Obama o Blair? No. Renzi è Renzi. Un misto di provincialismo, di cattiveria e coraggio. Capacità straordinaria di essere a fuoco, sempre sulla pancia della gente, una tecnica di relazione perfetta.

Quindi siamo nell’era di Renzi e dopo i venti anni dell’era dei partiti e dell’era berlusconiana, facciamo i conti con questa era che aprirà un lungo periodo dove lo stile, i meccanismi e le relazioni cambieranno e vedremo tanti protagonisti di questo fine stagione uscire di scena e tanti nuovi protagonisti arrivare.
Tutto questo, però, francamente non lo trovo decisivo per il Paese. E’ un nuovo gioco di specchi, una nuova rappresentazione, un passaggio di testimone. Non siamo di fronte a quella possibilità di cambiamento radicale che è tanto atteso, ma a cui nessuno sembra veramente lavorare.

Fare il cronista o un’esegesi del renzismo non è certo l’aspirazione della mia vita. Guardo oltre Tevere. Sì, proprio così, guardo oltre Tevere, perché i successi di produzione del cambiamento non li vedo certo negli Stati Uniti (dove come in Italia ci sono giochi di specchi), o in Europa (schiava e asservita a burocrazie imperante), né tantomeno, in Oriente (la cui cultura è lontana), né tantomeno dal Sud che preme (affamato e disperato).

Se voglio veramente veder germogliare il seme di questa speranza, devo guardare oltre Tevere e non lo faccio da cattolico, ma da uomo.

Sulle pagine di questo blog ho spesso criticato gli eccessi comunicativi di Papa Bergoglio, analizzando la singola azione, la singola iniziativa. Ma oggi, dopo un periodo lungo di osservazione e l’attività di questo Papa e dopo l’ultimo sinodo e il modo in cui l’ha gestito e con cui ha parlato al suo popolo ho sentito il desiderio forte di appartenere a questa comunità perché è lì la frontiera del cambiamento, è lì il coraggio di dire le cose come stanno, dove rappresentazione e rappresentato coincidono, dove etica ed estetica convivono.
E’ lì, proprio oltre Tevere, che tra le resistenze emerge lo sforzo più grande, più imponente, più serio, più attento di cambiamento; dove sono possibili la redenzione, la rettifica e l’impegno.