silvio berlusconi

Prima ancora di scendere in campo, Silvio Berlusconi era stato dato per morto. Nessuno credeva o poteva immaginare che potesse presentarsi in poche settimane al voto e vincere le elezioni.

Dopo l’avviso di garanzia di Napoli, nel dicembre 1994, era stato dato per morto.

Dopo la prima sconfitta del 1996 contro Prodi, era stato dato per morto.

Dopo cinque anni di governo, dal 2001 al 2006, in cui ha battuto tutti i record di durata e di gradimento ma francamente senza riuscire a mantenere quella promessa di cambiamento che era intrinseca nella sua proposta politica, tutti l’avevano dato per morto.

Ha perso le elezioni, di poco, si è ripresentato, e ha vinto.

Dopo la caduta del suo terzo governo abbiamo visto tutti i media del mondo riprendere la macchina di Berlusconi sotto la valanga di fischi della folla, rassegnare le dimissioni e annunciare il suo ritiro.

Dopo il voto di fiducia a Letta il 2 ottobre, tutti l’avevano dato per morto, esattamente come era accaduto già nel dicembre del 2009 con Fini.

Funerale celebrato. Esequie eseguite.

L’altro giorno il Senato l’ha dichiarato decaduto. E tutti l’hanno dato per morto.

Mi permetto di far notare sommessamente che, in tutti gli ultimi sondaggi conosciuti, il centrodestra, nella sua varietà di offerta politica, ha ormai superato il centrosinistra, tranne in uno studio di Mannheimer che non calcola Storace e gli “altri di centrodestra”.

Non m’importa di quanto, non mi impegno nella nota millimetrica dei decimali. Prendo atto di una tendenza poi mi soffermo sul dato di Forza Italia – che ha perso 6 milioni di voti nelle ultime elezioni, che ha subito due scissioni in due anni, che era arrivata al 38%, che ha tradito il sogno degli elettori, che ha mancato tutte le riforme, che è presieduta da un signore condannato, che ormai ha quasi ottant’anni, decaduto, sbeffeggiato all’estero, accusato di ogni tipo di reato.

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E nei sondaggi si trova con un risultato identico a quello del suo esordio. Il primo risultato elettorale del 94 fu circa il 21%. Oggi è esattamente a quel punto. E in un sistema non più bipolare, ma fermamente tripolare con un terzo partito che si attesta al 20%.

Ma questo fenomeno sarebbe potuto accadere in un altro paese occidentale? La risposta è secca. No. Non ci sarebbero state le condizioni.

Questo avviene perché Berlusconi è bravo a comunicare? Non credo, visto che il suo modello di comunicazione è fortemente ancorato agli anni Ottanta ed è fortemente in difficoltà con la complessità dei processi di comunicazione della modernità.

Se lo guardi ti accorgi che il tempo è passato anche per lui e ti rendi conto che c’è una differenza tra il Berlusconi che fa il comizio sotto casa sua nel 2013 e il Berlusconi che annunciava la discesa in campo da Arcore, dietro la scrivania bianca.

Allora perché Berlusconi è ancora punto di riferimento politico, sociale, quasi mitologico degli italiani?

Più che ai meriti di Berlusconi, siamo di fronte all’inequità, all’assurdità alla grettezza e alla stupidità dei suoi avversari. Quelli interni – i Fini, i Casini, gli Alfano, i Follini o i leghisti a ondate alterne – e quelli esterni, proprio grazie a una delle più grosse anomalie del nostro paese, che non è Berlusconi, ma la sinistra italiana. Che favorisce una dialettica politica strutturalmente da terzo stato, cioè con processi morali che non rispondono necessariamente alle regole, ma a leggi ideologiche di appartenenza antropologica, favorendo quel brodo primordiale della contrapposizione tra nemici e non tra avversari politici.

Che antepone il partito allo stato, al paese e al diritto, che diventano lo strumento stesso della manipolazione e della propaganda politica.

Un war game perenne, come in un simulatore di volo che non decolla mai, che riproduce relazioni, processi di gruppo e contrapposizioni all’interno di un mondo chiuso: quello, appunto, del partito al quale si risponde culturalmente prima che alle istituzioni, prima che allo stato, prima che a se stessi.

E’ una parabola da guerra religiosa, uno scontro fra enclavé. E in questo Berlusconi ha trovato la sintesi perfetta, aggregando tutti quelli che nella enclavé nemica non vogliono assolutamente starci e che per questo si adattano a stare con chiunque altro, a patto che sia in grado di organizzarli e di tenerli uniti. Chi mantiene in vita Berlusconi, dunque, sono i suoi stessi nemici, con il loro modello organizzativo e comunicativo. Con la loro stessa esistenza.

Finché esisteranno loro, esisterà Berlusconi.

Quando i vostri amici stranieri vi chiederanno perché Berlusconi è ancora in politica e concorre alla guida del paese, voi rispondetegli: non guardate lui, ma guardate i suoi nemici.

L’unico che è in grado di annientare Berlusconi è qualcuno capace di combattere sul suo stesso terreno.

Mentre tutti i media parlano di Berlusconi, Renzi sui media parla in prima persona, senza parlare di Berlusconi. Può farlo perché nella sua dialettica Berlusconi è già superato.

Siete sicuri, cari compagni che il sindaco di Firenze sia davvero “il nuovo volto della destra” e che non sia, al contrario, l’unica chance per il centrosinistra, non tanto di vincere, ma di uscire da questa logica distruttiva delle enclavé?