Ieri Zingaretti, in un discorso di 50 minuti, ha presentato in piazza San Cosimato a Roma la sua candidatura alle primarie che dovrebbero portarlo a sfidare Gianni Alemanno nel 2013 alla corsa per il Campidoglio. L’operazione si è svolta sostanzialmente in 2 fasi. La prima, nella quale il presidente della Provincia ha presentato un libro “4 anni di idee diventate realtà per città più vivibili”, che ricorda da una parte la famosa rivista che Berlusconi inviò a tutti gli italiani nel 2001 – di cui ho qualche responsabilità – rifatta poi dallo stesso nel 2008, e dall’altra ricorda “4 anni per Roma”, lanciato qualche mese fa da Gianni Alemanno.

In un tratto grafico fortemente identificabile nei modelli del centrosinistra, troviamo il claim di questa prima parte della campagna di Zingaretti “ne abbiamo combinate di tutti i colori”, il solito gioco di parole calambour di cui spesso la sinistra è vittima, nel tentativo di essere spiritosi suggerisce la strategia agli avversari.

Ma il cuore del debutto di Zingaretti è stato il discorso di 50 minuti, interrotto solo da 5 applausi, più il sesto alla fine. Zingaretti si è presentato leggendo e questo gli toglie già diversi punti. Nessuna menzione per il suo avversario, che non ha mai nominato in fede alla tradizione veltroniana. Ha parlato dei disagi dei trasporti, come se lui non avesse alcuna responsabilità.

Ma l’elemento politico più rilevante, che sancisce un legame oggettivamente marcato, è il riferimento nel quale definisce la Roma del 2008 una Roma dei miracoli, del riformismo democratico, che poi dal 2008 ad oggi si è avventurata in un percorso buio e oscuro. La sua aderenza a Veltroni e Rutelli non è solo semantica o evocativa, ma si presenta come strutturale, quando rivendica il piano regolatore di Veltroni di cui nessuno ha memoria.

Qualche passaggio populista sulle forze dell’ordine, che non manca mai, tante smart city, wi-fi, ovviamente senso civico a go-go, sussidiarietà, sicurezza, senza mai nominare la Regione, nessun riferimento all’attualità, alle coppie gay, al suo avversario o agli altri competitor delle primarie.

Nessuna novità nel linguaggio e nel tratto. Certo non sono ingenuo, Zingaretti avrà sicuramente una strategia e questa strategia prevederà sicuramente dei colpi di scena, dei momenti topici, delle proposte importanti, ma lunedì, al di là di chi sembrava arrivato ieri a Roma e sorpreso si domandava “ma quanto traffico?”, “ma quanto disordine?”, “ma c’è un problema con la discarica…” non c’era molto, un po’ alla Forrest Gump, che fa simpatia. Il Presidente della Provincia ha omesso che proprio quella stagione di democrazia riformista è la causa dei mali di oggi di Roma, dimenticandosi  non solo che Alemanno ha dovuto affrontare la più grande crisi mondiale che ha attraversato i paesi e le città, determinando tagli drammatici che hanno impedito sicuramente le gestioni generose degli anni passati, ma dimenticando anche che l’eredità plastica è quella dei 13 miliardi di debiti con cui la giunta attuale ha dovuto fare i conti e che i romani stanno ancora pagando e che difficilmente dimenticheranno.

Dimenticando che i romani votando Alemanno hanno segnato una traccia di discontinuità con Veltroni e Rutelli, con la loro politica buonista e avvolgente, con la loro visione di Roma fatta di tappeti rossi, croisette, ricchi premi e cotillon.

Non v’è dubbio, gli stili dei due principali candidati sono marcatamente diversi: uno in giro in moto, guardando in faccia i problemi della città, a trattare con i rom a maniche alzate, sgualcito e sudato, l’altro impeccabile, con quella riga nel pantalone che sembra fatta da un seghetto, precisa, perfetta, riesce persino a non sudare… e per questo lo ammiro molto.

Non voglio disprezzare la merce altrui, mi auguro che il confronto sia civile e basato sui fatti concreti partendo dalle responsabilità, dagli obiettivi raggiunti, da quelli mancati, di non trovarci di fronte al solito scontro ideologico tipicamente romano, con la bava alla bocca, perché comunque ho trovato interessanti due aspetti della presenza in piazza di Zingaretti, la prima si tratta di una campagna a basso costo, senza effetti speciali, e questo è eticamente giusto e lo condivido profondamente come condivido l’idea di essere riuscito comunque a riempire una piazza anche se non stracolma, senza un solo manifesto attaccato sul muro. Peccato che il Pd, il suo partito, non faccia la stessa cosa… come del resto dovrebbero fare tutti i partiti.

E’ inutile che vi neghi che ho un’idea precisa su chi vincerà, ma so benissimo che la sfida è di quelle aperte che lasceranno il segno non solo nella città di Roma, ma in tutto il paese.