Nell’edizione odierna del Corriere della Sera, unico giornale ad averlo fatto, un articolo pubblicato nelle pagine interne riportava in cronaca i contenuti dell’arringa difensiva dell’avvocato dell’onorevole Messina. Nel merito, riguardandomi direttamente, ho chiesto al Corriere di poter replicare a tali dichiarazioni, ma essendomi stato negato tale diritto, affido la replica al mio blog.

Sette anni tra indagini e processo, a tratti anche durissimo, non hanno mai messo in evidenza elementi che potessero dare luogo ad accuse, a mio carico, di ricatto o estorsione, alle quali l’avvocato dell’onorevole Messina fa, invece, riferimento nella sua arringa difensiva pronunciata nei giorni scorsi.

Mi domando, quindi, quale fosse l’obiettivo di tale infamante arringa, per di più decontestualizzata dallo stesso processo che ha al suo centro i rapporti tra il sottoscritto e la Banca Popolare di Lodi. Si tratta, evidentemente, di un tentativo di infangare il profilo personale del sottoscritto che, benché sottoposto a processo, ha sempre mantenuto la propria dignità, segnando la differenza rispetto ad abitudini e circostanze che, soprattutto in quest’ultima fase storica del nostro Paese, paiono andare per la maggiore.

La parola ricatto, associata alla mia persona, è un’infamità e si aggiunge alle molte che in questi anni ho dovuto subire. Mi auguro che il giudizio della corte, ormai imminente, possa fare giustizia di tutti i tentativi di infangare il mio nome che taluni personaggi hanno posto in essere per non pagare il prezzo dei propri errori e delle proprie responsabilità.