craxi

Comincia tutto il 30 aprile del 1993, davanti all’Hotel Rafael, con le monetine lanciate dalla folla contro Bettino Craxi. È in quel momento, che molti identificano come l’avvio della stagione di “Mani Pulite”, che il rapporto tra giustizia e media inizia a trasformarsi in un qualcosa di diverso dalla semplice cronaca giudiziaria. Diventando un mutante ambiguo – e repellente – in cui criminalità e anti-criminalità sembrano alimentarsi a vicenda, nella rappresentazione di un paese devastato, senza ormai possibilità di redenzione.

Dopo Tangentopoli, gli sconfinamenti della magistratura e la narrazione che li accompagna e li esalta diventano un genere giornalistico. Ma anche un genere letterario, editoriale, cinematografico, televisivo. Diventano perfino una categoria politica, con partiti che nascono (e muoiono) unicamente sulla base di un cieco istinto di vendetta.

Gli scandali della corruzione e la loro rappresentazione diventano, progressivamente, il metodo di selezione di una classe politica che però, invece di migliorare, scivola sempre di più nel baratro. Con i richiami alla moralità che nascondono a stento la degenerazione dei costumi e i richiami alla giustizia che mascherano, senza riuscirci affatto, le perversioni del giustizialismo.

Tutti spiano tutti, tutti intercettano tutti, tutti giudicano tutti, in un vortice dannato che ci spinge a confondere la narrazione con la realtà, il crimine con la normalità, la terapia con la malattia. Due mondi apparentemente opposti si combattono, ma solo per mantenersi in un equilibrio perfetto, in cui entrambe le parti hanno sviluppato una perversa relazione di dipendenza. Il crimine diventa un doppio crimine: quello di chi lo commette e quello di chi lo racconta.

Ma quando tutti sono colpevoli, quando tutto è marcio, quando tutto è senza speranza, allora precipitiamo – per utilizzare la critica hegeliana all’assoluto di Schelling – in una notte nera in cui tutte le vacche sono nere. Una notte in cui Massimo D’Alema, che in quella sera di aprile del ’93 stava dalla parte dei lanciatori di monetine, adesso si prende gli insulti dei manifestanti per strada. Una notte in cui i processi si fanno in piazza e le email private si leggono su Facebook.

Siamo di fronte a un bivio, come vent’anni fa. Con uno scenario globale ancora più pericoloso di allora, visti i lunghi anni di crisi economica che stiamo attraversando. Mentre la narrazione della società prosegue la sua folle corsa nichilista, gli onesti vengono espulsi da questa rappresentazione, silenziati, uccisi. Diventano fantasmi.

Ma siamo davvero sicuri che questo sia il nostro paese? Siamo certi che gli onesti siano ormai una minoranza deviante rispetto alla normalità del crimine e della corruzione? Perché, se così non fosse, forse sarebbe il caso di mettere in discussione questa narrazione devastante che ci sta portando all’estinzione. Altrimenti, purtroppo, ha ragione il New York Times.