La fase politica che stiamo attraversando è caratterizzata sia dalla volubilità che dalla vulnerabilità. Le famiglie ideologiche del secolo scorso e della Seconda Repubblica si sono completamente sciolte, alcune, come quella della Destra italiana aennina in una specie di lavacro – non da Fratelli d’Italia ma da fratelli coltelli – altre, più semplicemente, si sono disperse nelle contraddizioni e nel rapporto con la realtà.

La volubilità: fate conto che non più tardi di un anno fa il governo Monti aveva livelli di consenso superiori a quelli del Papa. 12 mesi fa Monti era il salvatore della patria; oggi, stentiamo a rammentarci chi è Monti, e verrà ricordato nella storia del nostro paese, per l’uomo quasi politico che ha sbagliato con maggior sicurezza.

Tutti eravamo sicuri che si sarebbe aperta la stagione del centrosinistra del Bene Comune di Bersani, e invece ci siamo trovati Grillo e i suoi amici tra rivoluzione e rendicontazione, per arrivare poi al cambio di governo sofferto con Enrico Letta che, non più tardi di 15 giorni fa, veniva accreditato del 60% della fiducia degli italiani e che poi è precipitato in soli 15 giorni al 45%. La luna di miele più veloce della storia, direi quasi una botta e via.

Tre mesi fa abbiamo letto sproloqui devastanti e millenaristici sull’avvento rivoluzionario di Grillo, sulla forza della Rete, sulle dinamiche sociali che avevano determinato la profondità di questo evento e oggi, improvvisamente, l’evento non c’è più. Persino Grillo, novello leader senza paradigma, si erige a pentito di se stesso: “abbiamo fatto errori, ma abbiamo restituito i soldi” dice oggi. Sto uomo è ossessionato dai soldi.

Ma in queste ore, passando dal voto di Roma a quello di Siena, al voto del Referendum di Bologna, tutti a raccontarci il crollo della partecipazione, quando 15 giorni fa tutti dicevano che la gente voleva partecipare: i social network, le piazze piene durante l’elezione di Napolitano per le contestazioni… in poche ore, improvvisamente, da una politica partecipata in poche ore siamo passati alla crisi della partecipazione.

Quello che io dico è che i cazzari in crisi non ci entrano mai… 

La verità è che ad essere davvero in crisi non è la partecipazione, ma il modello sociale, il patto sociale. In tutti i paesi del mondo l’affluenza al voto fa fatica a raggiungere il 50%, ma non per questo sono meno democratici. Quindi il tasso di democrazia non si misura dalla partecipazione, visto che il nostro paese è in coda in tutti i parametri che si indicano livelli di democrazia partecipativa. A cominciare dalla giustizia civile e penale per non parlare dello stato delle carceri. Dobbiamo dirlo: l’affluenza al voto, soprattutto in alcune aree del territorio non corrisponde alla democrazia, ma al meccanismo del clientelismo. Meno clientelismo e più democrazia: se la gente vota per clientelismo, questo non ha nulla a che vedere con la democrazia, ma con l’appartenenza, con le ideologie antiche… Se lo stato non ha più soldi da distribuire per fare le clientele, ecco che la gente non va a votare.

Vince chi vota, chi non vota non conta un cazzo. I livelli di partecipazione si misurano dalla passione civile, dal volontariato, da una diffusa partecipazione civica che in altri paesi non c’è.

Ho assistito ad analisi e controanalisi della disaffezione al voto, il crollo di Grillo… ma io mi domando: un non leader, che fonda un non-partito, alimentato da non candidati può ottenere qualcosa di diverso da un non voto? Chi si è caratterizzato per dire no, sempre e comunque, e dovunque, può immaginare di essere credibile in una campagna amministrativa dove conta come fai le cose e non a quanti dici no? E forse, avere discusso per settimane della rendicontazione dei panini, quando il 40% dei giovani non ha un’occupazione, non è una forma di autoreferenzialità eccessiva? Continuare ad abbaiare, ad accusare e aggredire verbalmente gli altri non è una forma di isolamento? Il dialogo è o non è un valore? La suprema arte della politica è o non è la mediazione?

La questione è un’altra: oggettivamente la gente sta peggio e se la prende con chi governa, anche con chi fa un’opposizione che è mirata a criminalizzare ed evidenziare questa difficoltà.

Perché le persone non sono stupide.

Quindi, pensare che il Movimento 5 stelle, che è un movimento di protesta, improvvisamente, in 3 mesi abbia esaurito la sua spinta e abbia finito la sua esperienza di movimento antagonista, di rivalsa, molto vicino al concetto dell’Uomo qualunque di Giannini per la capacità di banalizzare l’offerta politica, è un altro errore.

Le campagne amministrative non sono un terreno confacente a quel tipo di movimento, ma lo sono le campagne di opinione e vi domando: qual è la prossima campagna che ci aspetta? Le Europee.

E qual è fra tutte le tornate politiche quella che ha il voto in libertà? E dove Grillo cercherà di misurarsi veramente?

Noi non conosceremo il valore di Grillo con il voto a Roma.

In che modo Grillo poteva immaginare che una persona dal profilo e dall’approccio come quello di De Vito potesse avere seguito a Roma? L’onestà è una qualità necessaria, ma non sufficiente. Partiamo dal presupposto sbagliato che tutti i politici siano disonesti. Altra cazzata. E’ un pregiudizio. La classe politica è alla mercé di come viene rappresentata e del giudizio popolare.

Quindi chiudiamo questo ragionamento: l’unico flusso che conta è quello della disoccupazione, della disperazione che si sta diffondendo tra le classi medio basse, della mancanza di prospettive, dalla perdita di un sogno. E il Governo Letta è alle prese con discussioni contabili, e di puntiglio in una prova muscolare interna tra Pd e Pdl, ma anche tra Pd e Pd e Pdl e Pdl. Ancora bande che si scontrano fra loro, senza rendersi conto che il bottino non c’è più. E’ già stato spartito ed è già sparito.

Grillo non ha ancora perso la sua scommessa sullo sfascio del paese e noi siamo nelle mani di Letta e Alfano che devono dare risposte ai bisogni primari della gente, altrimenti la strada per il Movimento cinque stelle o di un qualsiasi altro Grillo non solo è spianata, ma è a 90 gradi in discesa.

Quindi non siamo di fronte a idee diverse di paese e futuro.

In gioco c’è la convivenza sociale, il destino di una comunità, l’esistenza stessa dell’Italia concepita come paese. Non basta parlare la stessa lingua, non basta usare la stessa moneta, guardare le stesse televisioni o votare gli stessi partiti. La disparità viene determinata etnicamente: a seconda di dove vivi, a seconda di dove nasci, le tue possibilità sono differenti e le tue chance sono radicalmente disuguali. Gli ascensori sociali sono stati venduti all’Europa, in un concetto dominato da finanza e bilanci, in una società che ha perso generosità e visione.

La soluzione non è Grillo, ma Grillo è di certo il punto più basso da cui risalire.