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L’opzione socialista in Europa appare in una crisi di identità profonda. Ieri le elezioni in Germania (dove perdono i socialdemocratici e guadagna voti la sinistra radicale di protesta) e Portogallo (dove anche se i socialisti vincono, perdono la maggioranza assoluta) hanno confermato questo stato di cose. Dieci anni fa i socialisti governavano nella maggior parte dei Paesi europei ed oggi non è rimasto che uno sparuto manipolo di quattro o cinque Paesi. Esistono sicuramente delle motivazioni locali per questa tragedia collettiva che hanno però un tratto comune: i laburisti inglesi hanno espresso un governo più a destra dei conservatori e Blair è stato il più fedele alleato di Bush, tanto da apparirne complice; il progetto di Steinmeier con cui i socialisti tedeschi si sono presentati alle elezioni non era alternativo alla grande coalizione, ma in continuità con il governo della Merkel; in Francia le divisioni e le faide interne hanno pressoché annientato Segolene Royale e ogni reale alternativa a Sarkozy. In Italia le cose le conosciamo bene, la fusione nel PD ha segnato una stagione di sconfitte la cui parabola è difficilmente controvertibile.

Zapatero sconfitto nelle ultime amministrative e in difficoltà nei sondaggi appare schiacciato da una difficoltà economica su cui ha pochi spazi di manovra. Resiste il socialismo svedese legato all’efficienza amministrativa e qualche piccola altra area, ma il fallimento appare clamoroso se consideriamo che avviene all’indomani del crollo di tutte le teorie economiche liberiste, dove sul piano prettamente teorico la crisi economica ha reso di grande attualità l’opzione socialista, socialdemocratica e riformista, ma nessuono ne ha saputo cogliere il vantaggio.

Addirittura in Germania i temi dei diritti civili hanno portato all’avanzata dei liberali che su questi temi sono molto vicini ai nostri radicali, sottraendo questo argomento ai socialdemocratici. Siamo di fronte ad un normale ciclo politico di alternanze di governi, oppure ad una profonda crisi di identità?

Io credo che i socialisti in Europa abbiano perso un’occasione per marcare in termini d’identità progetti per il futuro che fossero chiari, distinti, alternativi e che avessero in se la forza di generare una speranza, proprio in un momento di crisi. Governando i socialisti si sono omologati, diventando sempre più simili ai loro avversari e la distinzione è venuta meno.

In Italia poi ancor di più con il PD che avrebbe dovuto incarnare questa identità ma si è confuso nel tentativo di diventare un partito maggioritario, perdendo così un’occasione e lasciando un grande spazio vuoto, difficile da riempire. Di fronte al crollo dell’idea di società imposta dai liberisti è incomprensibile che i socialisti non ne abbiamo tratto vantaggio, anzi.

Barack Obama può essere definito come un democratico, quasi socialista, di colore che è riuscito a vincere negli Stati Uniti e sta governando marcando fortemente le differenze sulle politiche sociali, economiche, sulla politica estera e soprattutto sull’ambiente rispetto alla precedente amministrazione: si sa cosa pensa della guerra, dell’assistenza sanitaria, dell’economia. Declinando gli stessi argomenti noi non conosciamo le posizioni del PD, non conosciamo le posizioni dei socialdemocratici tedeschi e spesso i laburisti inglesi si sono trovati più d’accordo con Bush che con Obama.

In Italia Franceschini e Bersani non sono credibili come socialisti, uno è un ex democristiano, l’altro un ex comunista, entrambi alleati con un populista di destra come Di Pietro. Francamente è difficile trovare gli elementi per una ripresa!