Di seguito un’intervista rilasciata da Ambrogio Crespi a Il Giornale d’Italia

Duecento giorni nel reparto ‘alta sorveglianza’ del carcere di Opera e, finalmente, la fine del calvario.
La libertà dopo sette mesi, le emozioni vissute, il pensiero della famiglia. E un grazie speciale all’amico Francesco Storace: Mi ha aiutato a respirare mantenendo accesa la mia speranza.

Dopo 200 giorni passati da prigioniero, rinchiuso nel carcere di Opera-Milano, reparto “alta sorveglianza”, Ambrogio Crespi è finalmente libero. Sabato, ha riabbracciato, commosso, sua moglie, suo figlio (di 11 mesi) e i tanti amici che lo hanno aspettato ai binari della stazione Tiburtina di Roma. Emozioni forti, dopo 7 mesi di agonia. Momenti difficili, duri, quelli passati. Nelle avversità, però, anche qualcosa di positivo. Con il Giornale d’Italia, Crespi ripercorre tutte le tappe di questa difficile esperienza.

Dalla vita di tutti i giorni, al carcere. Partiamo da qui. E’ il 10 ottobre, i carabinieri si presentano a casa sua con un mandato di cattura. Un incubo. Può provare a descrivere quegli istanti?
Quando alle 4.50 i carabinieri hanno suonato alla porta e ho letto l’ordine di carcerazione ho capito che la mia vita si sarebbe interrotta e non sapevo quando sarei potuto tornare alla mia esistenza che stava per entrare in un tritacarne. Soprattutto perché sapevo che le accuse per cui mi stavano arrestando erano totalmente infondate. Per un colpevole ci sono tanti modi per uscire dal carcere per un innocente molti meno.

La sua entrata nel penitenziario. Ricordi particolari?
Ho la mente piena di ricordi, oggi però preferisco pensare alla gioia di quando sono uscito e non a quando sono entrato. Ma nulla sarà dimenticato perché tutto verrà raccontato in un libro a cui sto già lavorando.

C’è qualcosa di positivo che ha tratto da questa esperienza?
Oltre all’amore della mia famiglia, uno dei lati positivi di quest’esperienza è quello che è avvenuto fuori dal carcere: le manifestazioni pubbliche, la solidarietà, l’amore e la vicinanza di tante persone, le migliaia di lettere che mi hanno dato la sensazione di non essere mai solo.

Tanto accanimento da parte dei giudici. Come se lo spiega?
Ci hanno messo un po’ di tempo a capire la situazione, ma io ho sempre creduto nella giustizia. La questione non è un giudice cattivo o il “giudice di Berlino”, ma il quadro normativo della carcerazione preventiva, di alcuni reati fantasma non definiti dai codici e a questo spesso di devono aggiungere cattive interpretazioni e abusi. Troppo spesso in sede istruttoria si formula un teorema, si arrestano le persone e poi si cercano gli indizi per dimostrarne la validità.

La carcerazione preventiva. Cosa ne pensa?
Penso solo che in questo momento ci sono in carcere 12.000 persone che nei prossimi mesi verranno liberate perché innocenti. Al momento nelle carceri italiane sono 24.000 le persone detenute in regime di custodia cautelare e statisticamente la metà risulta innocente, questa è un’emergenza di cui la politica si deve occupare.

Un pensiero per “l’amico” Francesco Storace?
Lei non sa quanto sia importante quando sei chiuso in quattro passi sentire voci come quella di Francesco che dicono “Io sto con Ambrogio, io credo nella sua innocenza.” In un luogo dove non è difficile morire ma è difficile vivere, Francesco mi ha aiutato a respirare mantenendo accesa la mia speranza.

E ora, cosa farà?
In primis, mia moglie Helene e mio figlio Luca, fino alla sazietà. Sto facendo poi un giro per ringraziare tutte le persone che mi hanno sostenuto. Poi riposo e dopodiché riprenderò in mano la mia vita.

Federico Colosimo