Franco Forchetti scrive:
Gentile Dott. Crespi, sono contento che Lei, con “razionalità viscerale”, abbia rotto il conformismo mediatico e abbia detto ciò che molti di noi pensano e che non dicono per una sorta di annichilimento del nostro io giudicante di fronte al “preconfezionato pregiudizievole” (mi perdoni l’orrenda allitterazione) che tv e stampa ci propinano.

Stimolato dal suo appello a scongiurare il pericolo di una gogna senza quartiere e della fine di ogni forma di garantismo (soprattutto a livello di comunicazione), vorrei fare alcune riflessioni.

La prima è una riflessione machiavellica, che ogni studioso di politica, realista e pragmatico, dovrebbe sviluppare: la corruzione è fisiologica in qualsiasi sistema politico, sociale o economico. Il problema non è tanto eliminarla del tutto (impossibile a meno che non si confidi nell’evoluzione darwiniana) quanto quella di contenerla entro limiti accettabili che non pregiudichino il funzionamento del sistema.

Sgomberato il campo da volontà palingenetiche di purezza della “razza” politica, cito Marco Vitale, economista e docente della Bocconi, che, in un’intervista all’Espresso, rivela (ma non era difficile immaginarselo) che le statistiche di Transparency International collocano l’Italia in una posizione pessima nella classifica dei paesi più corrotti. Appare curioso, dice Vitale, che il germe della corruzione sembri oggi allignare più nei giovani che negli anziani. Vitale non ci spiega da dove nasca questa vocazione italiana alla corruzione, ma, volendo semplificare, si potrebbe dire che essa dipende dalla nostra breve storia democratica, dall’esistenza di culture diverse all’interno del paese, dal sopravvivere di mentalità borbonico-levantine, dall’iperfetazione dello stato-leviatano nel tessuto economico, dall’assenza di una tradizione calvinista e da tante altre ragioni.
Ma il punto fondamentale, dott. Crespi, è quello che Lei addita: non tanto il rapporto tra politica e magistratura. Si parla da secoli di equilibrio tra i poteri e di rapporti di forza storicamente determinati tra i poteri. Tanto che la storia della I repubblica ci insegna che, pur non essendo assente la corruzione (anzi), la magistratura sembrava meno in grado di mettere in difficoltà il potere politico, perché eravamo all’interno di un sistema democratico bloccato dove, anche per ragioni internazionali, non si sarebbe mai consentita una rivoluzione per via giudiziaria.

Tangentopoli, come sosteneva giustamente Bossi, arriva solo dopo la crisi del sistema dei partiti non più in grado di addomesticare il potere giudiziario. Caduto il muro di Berlino e allentatosi il controllo americano sulla penisola, i partiti tradizionali (dc e psi) perdono consensi e, quindi, potere, spianando la strada alla Lega e liberando la magistratura dall’influenza condizionante del sistema partitico.
Forse l’immagine di un Domenici, sindaco di Firenze, che, benché non indagato, si incatena di fronte alla sede del Gruppo Editoriale L’Espresso, per lanciare l’allarme sul pericolo dell’informazione distorta, evoca lo spettro delle complesse relazioni tra giustizia e mondo dell’informazione.

Ma Mani Pulite fu anche gogna mediatica, fu la condanna precoce e senza appello (sui media) degli indagati, molti dei quali vennero consegnati all’oblio politico. Non importa che quegli indagati non sarebbero stati mai condannati perché ormai la sentenza mediatica era stata pronunciata. Tecnicamente è il becero antigarantismo mediatico che fa i processi a mezzo stampa e tv. Continuo a pensare che i processi si debbano fare nelle aule di tribunali e che i media dovrebbero limitarsi a dare la notizia, senza imbastire la santa inquisizione dell’etere e della carta stampata.

Il problema è quello del rapporto tra il potere politico, il potere giudiziario e quelli che sono conosciuti come quarto e quinto potere (stampa e tv). Ma non è solo un problema culturale, morale o politico. Perché, se in Italia continuiamo a far fuori classi politiche per effetto della santa inquisizione mediatica, rischiamo di non saper governare più il nostro sviluppo economico e sociale, consegnandoci ad un qualunquismo ipocrita e giustizialista  Prof. Franco Forchetti
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