Sono stati pochi i momenti nella storia del Paese, di cui io sono stato testimone, così caotici e privi di punti di riferimento, di parametri, di ancoraggi come quello attuale. Le certezze di ognuno di noi sono saltate, sondaggi impazziti, dichiarazioni dementi, giornali allo sbando, televisioni spente, l’avvento di nuovi strumenti come la rete, il vecchio e il nuovo che si sovrappongono, guerre tribali, bande, banditi, briganti, balordi e babbani.

Qualcosa che va oltre il caos, una nebbia così fitta e densa che non permette di vedere, di capire, di conseguire ragionamenti che abbiano una logica.

Ma proviamo ad affrontare alcune questioni, partendo dalla logica dell’interesse. Parlando delle primarie del Pd, queste rappresentano una minaccia terrificante per Bersani: vedete, se Bersani a ottobre va alle primarie, la possibilità che Renzi lo sconfigga o che comunque lo riconsegni a una vittoria marginale sono altissime. Inoltre, le primarie a ottobre non risolveranno certo la frattura del Pd con l’Idv che non è una frattura di modo, ma una frattura strategica. Poi il Pd deve ancora decidere se puntare su Casini e il centro o su Sel e Vendola che comunque in Parlamento porterà minimo 60 deputati. E, se diamo per scontata una vittoria del centrosinistra, è inimmaginabile che si possa concepire una convivenza parlamentare con Sel fuori dalla maggioranza, mentre si potrebbe accettare, in termini di consenso politico, che fuori dalla maggioranza ci sia Casini.

Dal canto suo Casini non ha interesse ad allearsi con il Pd, perché tenta l’Opa sugli elettori del Pdl e magari la tenta con una partnership con lo stesso Montezemolo.

Ma, tornando agli interessi, è evidente che Bersani ha interesse, non a rischiare di fare le primarie ad ottobre, ma che ad ottobre si tengano le elezioni politiche. Sarebbe l’unico momento in cui avrebbe la certezza di diventate Presidente del Consiglio e di conseguenza di determinare il successivo

Presidente della repubblica. Quindi, se nelle prossime settimane non cade il governo, o siamo di fronte ad un grande senso di responsabilità di Bersani e della sua componente o siamo di fronte ad una grande debolezza di Bersani che rischia di perdere la premiership.

Ma veniamo alle primarie del Pdl, è un diversivo? è una ennesima operazione mediatica ? le faranno? Con quali regole? Sono concepibili primarie di coalizione senza una coalizione? Io credo che le faranno e saranno di partito e lì a rischiare sarà Alfano. Non mi sento ancora sicuro di dire che Berlusconi non tenterà l’ultimo coupe de theatre, ma dentro il Pdl ci sono sensibilità diverse: c’è la corrente di Verdini, di Cosentino, della Santanchè e di Sgarbi, poi c’è il partito degli Alemanno, dei Caldoro: aree politiche che, non solo non hanno relazione tra loro, ma che non hanno praticamente niente in comune se non quello di essere opposti alla sinistra. Ma lo sono con presupposti diversi, con obiettivi diversi e con una relazione molto diversa con lo stesso Berlusconi.

Basteranno le primarie per rinsaldare queste anime e dare uno scenario comune a vissuti così differenti, che non si limitano semplicemente ad una differenza di provenienza: vecchi socialisti, vecchi democristiani, vecchi missini, ma la cui vera differenza è dove vogliono andare, cosa vogliono fare? All’interno del Pdl c’è una dimensione di destra sociale che si contrappone radicalmente ad una visione liberista che a sua volta si differenzia nettamente da chi ha una posizione liberal-democratica, se non addirittura libertaria. Queste anime faticano ad avere una visione del futuro comune, come del resto l’anima cristiano-sociale del Pd fatica ad avere una visione comune con l’area libertaria e di sinistra di Sel. Le divisioni sono trasversali tra i due partiti: da come si concepiscono le tasse, alla visione dell’economia, ai diritti civili ed individuali.

Prima, da una parte Berlusconi e dall’altra l’antiberlusconismo mettevano a tacere queste differenze, oggi queste differenze emergono e pesano. Ecco perché regna il caos e tutti sono contro tutti e le camere di compensazione sono sature e non riescono più ad ammortizzare conflitti che diventano trasversali.

A questo scenario, di cui abbiamo tracciato solo alcuni punti, si aggiunge quello del governo, che non ha una legittimazione popolare, ma una forte legittimazione parlamentare, nel momento in cui il Parlamento ha la più bassa fiducia dell’opinione pubblica. Un governo che ha una forte credibilità internazionale ed ormai una bassa fiducia nazionale, che sconta una forte inesperienza che lo fa apparire imperdonabilmente dilettantesco, ma che nello stesso tempo è capace ancora di avere un peso specifico in Europa, cosa su cui contano in molti. Un governo che sembra abbia a cuore gli interessi di pochi rispetto ai diritti di molti, ma a cui comunque non sembra esserci un’alternativa. Un governo che non ci ha salvato dal baratro ma che lo ha semplicemente spostato. Un governo voluto dal Presidente della Repubblica e sul quale il presidente stesso vi ha lasciato un pezzo della propria credibilità. Un governo che nessuno sembra più volere, ma che nessuno ha la forza ed il coraggio di abbattere. Ma tutti sappiamo che qualunque altro governo non avrebbe in mano le leve dell’economia, della finanza e dei conti pubblici per poter agire e consentire di dare respiro al Paese, così com’è strozzato da accadimenti internazionali che non dipendono da questo governo ma che sono da mettere in capo ai governi di Ciampi e Prodi: i vincoli di Maastricht, il change money, il patto di stabilità e i vincoli di pareggio sono i capisaldi del nostro reale default, che non è ancora economico, ma che è sicuramente politico.

L’ interesse di Monti potrebbe essere quello di restituire la voce ai cittadini, sistemate un paio di cosine ancora, e, in cambio della Presidenza della Repubblica, lasciare il passo alle elezioni, in molti lo dicono e in molti lo pensano. Se Monti non finirà il suo mandato e diventerà Presidente della Repubblica sappiamo che l’accordo, di cui molti parlano in questi giorni, è cosa reale.

Sullo sfondo di tutto questo c’è il caso Grillo, su cui soprattutto SWG con Weber ad Agorà, il programma di Vianello, ci ha messo la faccia e, seguito tardivamente anche da Pagnoncelli di Ipsos a Ballarò, ci ha rappresentato il crollo di Monti e l’avvento di Grillo al 21% che continua a crescere e crescerà ancora. Ma io, che ormai sondaggi non ne faccio più ma che li ho fatti per tanti anni e li so leggere, sono pronto a scommettere che Grillo non raggiungerà mai queste quote alle elezioni né ad ottobre né alla scadenza naturale della legislatura. Questi sondaggi, pur essendo corretti dal punto di vista della statistica applicata, sono falsificanti della realtà e di quello che succederà, perché ogni risultato deve passare attraverso una mediazione della campagna elettorale e , vi ricordo, che Berlusconi recuperò 12 punti durante una campagna elettorale e che Grillo, che è un outsider, non è in grado di essere credibile sul piano del governo del paese. Esprimere per lui un voto in un sondaggio è una reazione emotiva di una parte dell’opinione pubblica: i sondaggi ci consegnano numeri che vanno letti ed interpretati.

Invece Agorà e Ballarò, trasmissioni incanalate nella sinistra, ci raccontano “presto al voto, ora che Grillo cresce e Monti crolla”, “ è il momento buono, ora o mai più”, anzi “ se non ora quando”. Ma chi è navigato su molti mari non si impressiona e non si fa impressionare, di certo deve emergere finalmente la differenza, la distinzione, la discontinuità, ma al contempo il rispetto, deve riemergere un senso di appartenenza, non possiamo assistere ad un Presidente del Consiglio infastidito perché il gol della nazionale di calcio interrompe una sua conferenza stampa. Bisognerà ritrovare il filo di una unità nazionale, di valori condivisi e questa cosa è strutturalmente contro la cultura della sinistra, che è convinta di avere gli uomini migliori e di essere espressione della parte migliore del paese, che è convinta di avere il diritto di criminalizzare chiunque la pensi diversamente.

Il Pd e il Pdl, che tengono in piedi il governo Monti, hanno perso l’occasione di creare intorno a questo consenso parlamentare un’identità comune, uno sforzo d’insieme, un interesse supremo in nome della Nazione, aiutati certamente da dei professori troppi superficiali e troppo supponenti.

Ma, nonostante tutto, il nostro resta un grande Paese, un Paese capace di trovare energie e risorse insospettabili, capace di reagire alle più grandi tragedie, di emergere dai marosi come nessuno mai nella storia. Anche se essere italiani oggi, per molti, non ha un senso esiste un legame, un senso di eternità che neanche i partiti, nel loro momento più basso, riusciranno ad annientare.

Il percorso è ancora lungo, incerto, pieno di insidie. Io non so se la Grecia, la Spagna, il Portogallo o l’Irlanda sopravvivranno a questa crisi, quello che so di certo è che l’Italia ne uscirà ancora più forte di come è entrata e che quanto sta accadendo ne è il buono auspicio.