Di Biagio Marzo – Piove o c’è il sole, per Silvio Berlusconi non c’è differenza.

I sondaggi della settimana – dal 28 giugno al 6 luglio 2010- dovrebbero mettere, tutto, sommato di buon umore il Capo del governo, mentre quello degli italiani è nero, preoccupati della crisi economica. Tant’è che, nell’arco di una settimana, è molto cresciuta la preoccupazione della situazione economica del nostro Paese dal 54,6% al 56,2, così come è calato il gradimento nei confronti del Ministro dell’economia, Giulio Tremonti. Ha subito una botta di meno 4,0%, cioè passando dal 52,0% al 48,0%. Un fatto comprensibile, visto come il relatore della Commissione bilancio del Senato, Antonio Azzolini, ha gestito il provvedimento economico. Per dirne una, il taglio della tredicesima ai poliziotti grida vendetta al cospetto di Dio. Per non parlare dei refusi, in particolate quello che per andare in pensione non basterebbero più 40 anni di contributi. Basta e avanza.

Nonostante i passi falsi commessi dalla maggioranza, Berlusconi risale la corrente: dal 49,8% al 51,3%, più 1,5%, mentre il governo perde un punto secco: dal 47,05 al 46,0%. Nel campo di Agramante, Bersani è fermo come la scorsa settimana: al 26% altrettanto l’opposizione in generale: al 25%.

Eppure, ne sono successi di fatti che hanno fatto venire il malditesta e il maldipancia ai vertici della maggioranza. Graziaddio di questi problemi il Presidente del consiglio non ne ha avuti, scorrazzando dal Canada a Panama, passando per il Brasile, terra di samba e bossa nova.

Fatto sta che è tornato vincitore: si è vantato di aver chiuso accordi commerciali tali che contano un punto di Pil. Il “trofeo di caccia” gli è servito per dare una lezione a Tremonti: il Ministro che costringe gli italiani a stringere la cinghia, mentre il Presidente del consiglio pensa positivo e porta sviluppo.

Quando ha messo piede in Italia, ha trovato la sua maggioranza allo sbando e tra mine pronte ad esplodere: dal nodo Brancher alla manovra economica anticrisi, dalle intercettazioni al caso Fini. Ragion per cui, si è messo di buzzo buono, sciogliendo il caso Brancher, con le dimissioni del neo ministro. L’atto tanto atteso è avvenuto in modo inedito nell’aula del Tribunale di Milano e non in quella del Paralamento. Cioè, in quella in cui non avrebbe voluto mai mettere piede, utilizzando il legittimo impedimento. Forte del sostegno dei berlusconiani, debole per l’ostilità dei finiani, abbandonato dai bossiani, alla fine, per carità di patria, ha consegnato armi e bagagli, preferendo di restare parlamentare, senza incarichi governativi.

Tutto si poteva aspettare, meno il loro voltafaccia. A dire che l’ex ministro passava come colui che era pappa e ciccia con Bossi. Ironia della sorte, tanto l’ha voluto ministro quanto lo ha voluto dimissionario. Per questa politica cinica e bara, la Lega Nord sta subendo una flessione preoccupante: dal 13,0 al 12,7%. Pur avendo a metà maggio una media del 14,8%.

Per quanto riguarda la manovra economica, il premier ha dettato alcuni ritocchi e per non avere guai e danni ulteriori, ha deciso di mettere al provvedimento il voto di fiducia.

Il problema grande come una casa è il ddl sulle intercettazioni. Tuttavia, l’inquilino di Palazzo Chigi aspetta un segnale di fumo dal Quirinale, sebbene da quel luogo sacro della nostra democrazia, non ci sia, finora, alcun movimento in merito. In proposito, secondo il sondaggio gli italiani non credono che ci siano rischi per la libertà di stampa. Infatti: i sì sono passati dal 15,7%, i no: dal 69,8% al 68,6%. Dopo l’acceso dibattito, gli italiani che si sono fatti una opinione sono soltanto il 53,85, il resto: il 46% è completamente all’oscuro. Il 35,3% condivide questo decreto, il 64,7% non lo condivide. Sulla base di questa rilevazione, Berlusconi deve fare una riflessione seria senza alcuna emotività.

Il caso Fini è complicato. Silvio Berlusconi cerca un pretesto per cacciare Gianfranco Fini dal Pdl di cui è anche il cofondatore. Ma, nello stesso tempo, tenta di indebolirlo, attraverso una campagna acquisti, per isolarlo definitivamente.

Lavora, parimenti, su due piani: sullo scontro diretto o sull’operazione Hotel Galia,( il luogo storico, dove si effettuavano gli acquisti e le cessioni dei calciatori).

Il Cavaliere, insomma, accarezza l’idea di aprire lo scontro con Fini, quando questi farà un passo falso, ossia dissentirà su un provvedimento governativo. Nel caso in cui, Fini rompesse con il Pdl, il suo nuovo partito, se avesse l’intenzione di costituirlo oscillerebbe, in quest’ultima settimana di rilevazioni, tra l’8% e il 10%, la volta scorsa tra il 9% e l’11%.

Come i tedeschi, nel ’39, per riprendersi Danzica inventarono la finta visita di una corrazzata che, appena entrò nel porto, sparò delle cannonate come segnale di pace, invece, fu la guerra, il Presidente del consiglio cerca la qualunque, per aprire la conflittualità contro il Presidente della camera. Un guerra combattuta all’interno del territorio pidiellino, i cui esiti sono molto attesi da parte dell’opposizione, che spera che, da questo scontro, Berlusconi esca indebolito per deporre le armi e arrendersi. In effetti, il Pd soprattutto gioca molto sulle contraddizioni interne alla maggioranza e non sulle proprie forze per abbattere l’avversario. Una politica profumata di vecchio Pci, che non avendo la forza per far cadere i governi della Prima repubblica, si alleava con alcune correnti interne della Dc, quelle di cifra di sinistra, per stare nel gioco politico, altrimenti restava fuori.

In questo panorama, i partiti di maggioranza e di governo subiscono oscillazioni non preoccupanti. Il Pdl dal 34,0% al 34,3%, mentre il Pd resta stabile al 27,0%. L’Idv recupera: dal 5,0% al 5,5%. L’Udc cala, dopo l’exploit della scorsa settimana: dal 7,7% al 7,0%. Mentre Sel avanza a piccoli passi: dal 4,0% al 4,2%. Rifondazione e i comunisti dall’1,8% al 2,0%.

Il blocco fermo alle % passate sono Mpa: 0,8%, La Destra:2,0%, Radicali:1,5%, Verdi: 1,0%. Infine: altri dall’1,7% al 2%.

Pure ale alte cariche dello Stato hanno subito delle oscillazioni, dal mese di giugno al 6 luglio: Giorgio Napolitano è passato dal 64,0% al 61,0%, meno 3%, Renato Schifani dal 48,0% al 47,0%, Gianfranco Fini: dal 52,5% al 52%, meno l’0,5%.

Non potevano restare fuori i ministri: Renato Brunetta è colui che guida la classifica degli uomini di governo più graditi: 52%. Mentre gli altri lo seguono a ruota Mara Carfagna e Roberto Maroni al 51%, Franco Frattini al 48%, Stefania Prestigiacomo al 48%, Angelino Alfano dal 46% al 48%, più 2%, Maurizio Sacconi dal 49% al 47%, meno 2%.

Gira e rigira, la maggioranza resta saldamente al potere, l’opposizione è condannata a sognare, come nella shakespeariana, una notte di mezza estate.