Ero appena un adolescente, il giorno della strage di Piazza della Loggia a Brescia. E quella tragedia, per me, rappresentò la fine della mia infanzia. Fu come rendermi conto che vivevo in un paese terrificante, senza speranze. Quelle immagini agghiaccianti, la registrazione in cui si ascoltavano le parole di un sindacalista spezzate da un’esplosione fragorosa: sono frammenti che ormai fanno parte della mia memoria più profonda. Qualcosa che ancora oggi, a tanti anni di distanza, riesce a scuotermi come poco altro.

E’ anche per questo che reputo incredibile come lo Stato, a trentasei anni dalla strage, possa essersi arreso nel suo tentativo di scoprire la verità. E’ bastata una settimana di camera di consiglio, ai giudici della Corte d’assise di Brescia, per assolvere (“per non aver commesso il fatto”) tutti gli imputati. Gli ordinovisti veneziani Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Maurizio Tremonte? Innocenti. L’ex generale dei Carabinieri Francesco Delfino? Innocente. L’ex segretario del Movimento sociale italiano (e fondatore di Ordine Nuovo) Pino Rauti? Innocente. Altre piste investigative percorribili? Inesistenti. Speranze di consegnare, un giorno, i carnefici di Piazza della Loggia alla giustizia? Nulle.

Si tratta, per lo Stato italiano, di un’avvilente ammissione di debolezza, che la dice lunga sullo stato penoso delle nostre istituzioni e del nostro tessuto sociale. Un paese che non sa fare i conti con il proprio passato, non ha speranze per il proprio futuro.