Di Sabatino Savaglio – Il caso di Ambrogio Crespi, fratello del sondaggista Luigi, sembra un altro dei casi di malagiustizia italiana, al punto di essere paragonato al caso di Enzo Tortora. Al di là della ricostruzione della cronaca giudiziaria, che riproponiamo sia pur sommariamente più avanti, ci sono un paio di curiosità… strane.

Innanzitutto colpisce la figura di uno dei principali co-indagati, Eugenio Costantino. Certo si può presumere che la versione lombarda della ‘ndrangheta agisca in modo “federato e federale” con le varie cosche calabresi, molto connotate per i loro legami familiari e di sangue, che al nord agirebbero insieme, in un tutt’uno.

Sarà un fenomeno sicuramente che dovranno approfondire dal punto di vista giudiziario per poi studiarlo negli aspetti sociologici e antropologici, ma sembra ricordare l’ipotesi dell’inchiesta “Crimine” dove si supponeva che un anziano venditore di frutta, a mezzo di un treruote, fosse capo assoluto dell’organizzazione mafiosa altre volte descritta come una multinazionale del crimine, del riciclaggio e della finanza. Di questo Costantino, nato e cresciuto a Cosenza, si presume l’appartenenza al clan Mancuso di Limbadi, paesino un po’ più a sud di Tropea (VV) e molto vicino geograficamente a Rosarno (RC). A chi è calabrese, pur conoscendo la ‘ndrangheta solo per ciò che ne scrivono i giornali, un’appartenenza di questo tipo suona abbastanza strana.

Il Costantino, come si può vedere da questo ritaglio di un articolo di Luca Fazzo su “il Giornale” ha ammesso in modo esplicito di essere un millantatore. Sarà solo autodifesa, dirà qualcuno, ma da quel che abbiamo letto sull’inchiesta, sembra molto più credibile delle ipotesi investigative.

Altro caso strano, anche se potrebbe essere solo una svista dell’utente che ha liberamente aggiornato la pagina, è che su Wikipedia, l’enciclopedia online, al nome di un altro degli indagati, Giuseppe D’Agostino, corrispondono due persone diverse. Anche qui il dubbio ci è venuto per motivi geografici: un soggetto di Rosarno (costa tirrenica reggina/Piana di Gioia Tauro) che farebbe parte di una cosca dell’area a sud Locride, nella zona ionica (cosche Morabito-Bruzzaniti-Palamara)! Con un velocissimo approfondimento scopriamo che il primo Giuseppe D’Agostino come riporta un articolo della Gazzetta del Mezzogiorno, a cui siamo pervenuti dalla stessa pagina di Wikipedia, nel 2006 aveva 39 anni, quindi è nato presumibilmente nel 1967, mese più mese meno.

Il Giuseppe D’Agostino del caso Zambetti, come risulta dall’ordinanza di custodia cautelare reperibile on-line, è è effettivamente della locride (nato ad Ardore) ma è nato nel 1943!!!

Pur avendo visto in passato casi altrettanto eclatanti (non su wikipedia ma in atti giudiziari), ci auguriamo che le indagini della magistratura non si basino su ricerche su internet; e sappiamo che di solito non è cosi, pur avendo visto talvolta screenshoot di pagine web fedelmente riportate, per dimostrare collegamenti e “collusioni” tra vari indagati, anche in avvisi di chiusura indagini.

***

Concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione, voto di scambio. Con queste accuse, Ambrogio Crespi – fratello di Luigi (sondaggista prima di Berlusconi e poi di Alemanno) – è stato arrestato il 10 ottobre 2012 nell’ambito dell’ inchiesta sui voti di scambio con la ‘ndrangheta che ha portato in carcere, tra gli altri, anche l’assessore regionale lombardo, Domenico Zambetti.

Secondo i magistrati, Crespi avrebbe trattato con le cosche mafiose “nella consapevolezza di farlo” e avrebbe raccolto 2500 preferenze proprio in favore di Zambetti. E’ stato portato in carcere, a Opera (Milano). Rinchiuso nel reparto di isolamento, dopo tre giorni è stato interrogato dal pm Giuseppe D’Amico. Sul tavolo c’erano le parole del pentito Luigi Cicalese che lo legano a un boss importante come Giuseppe Onorato. “Mai conosciuto”, è stata la risposta. Smentita anche l’amicizia con Renato Vallanzasca. “Crespi – dice l’avvocato Marcello Elia – non è mai andato a cena con Vallanzasca”. Come sempre si fa, argomenti non inerenti alla vicenda.

Finalmente si arriva al nocciolo della questione: i 2500 voti procacciati a favore dell’assessore lombardo. “Crespi – spiega il suo legale – non ha mai conosciuto Zambetti”.

Tanto è vero che nel 2006 si candidò per il comune di Milano, facendo campagna elettorale e incassò poco più di mille voti. Alla luce del risultato di quelle elezioni non si capisce come, nel 2010, abbia potuto raccogliere oltre il doppio dei voti, per di più senza impegnarsi direttamente. E’ questo quello che i difensori – Marcello Elia e Giuseppe Rossodivita – non riescono a spiegarsi.”.

Le prove della compravendita dei voti sono state smontate dalla difesa anche con il deposito di una perizia del professor D’Alimonte, massimo esperto italiano dei flussi elettorali, che, sui risultati di indagine fatte dai su citati avvocati, non dalla accusa che si accontenta della “narrazione”, ha stabilito che in realtà Zambetti nei quartieri di Baggio e nei condomini che si assumerebbero controllati dai calabresi e da Crespi ha preso pochissimi voti, meno di trenta. Tuttavia, secondo quanto stabilito dalla Cassazione lo scorso 8 marzo, Ambrogio Crespi deve rimanere in carcere perché pur non potendo inquinare le prove, che non ci sono, né reiterare il reato ed è da escludere altresì l’ipotesi del rischio di fuga.

L’11 marzo è stato reso noto che la Procura chiede il giudizio immediato, andando così al dibattimento senza passare dall’udienza preliminare.

“Finalmente, dunque, andremo a processo, e finalmente la completa discovery degli atti renderà evidente a tutti le infondatezze delle accuse mosse ad Ambrogio”. E’ stato questo il commennto dell’avvocato Giuseppe Rossodivita, membro del collegio difensivo di Ambrogio Crespi dopo la richiesta di giudizio immediato avanzata dalla Procura di Milano nei confronti dell’ex assessore regionale Domenico Zambetti e di altri coindagati, tra cui Ambrogio Crespi. “In tal senso ci auguriamo la più ampia pubblicità del processo che dimostrerà, a coloro che lo vorranno seguire, e ci auguriamo che siano in molti, la totale estraneità di Ambrogio a tutto quanto sinora contestato dalla magistratura Milanese e vedremo, non appena ci verrà notificato il provvedimento quali saranno capi di imputazione. Ambrogio per ora resta in carcere, non baratterà certamente la propria libertà con alcun rito speciale, patteggiamento o abbreviato che sia, ma qualcuno all’esito di questa incredibile vicenda dovrà chiedere scusa, anzitutto alla propria coscienza”.

In precedenza, il 29 ottobre, il Tribunale del Riesame di Milano, dopo essersi riservato sulla richiesta di scarcerazione, aveva rigettato l’istanza. I giudici, nell’ordinanza, sostenevano che “Crespi era l’uomo che il sodalizio criminale contattava puntualmente in occasione delle consultazioni elettorali su Milano e provincia”.

“E’ incredibile – afferma il fratello – Nell’ordinanza sono scritte cose assolutamente false. A Baggio (frazione di Milano), quartiere di riferimento di Ambrogio nella campagna elettorale, Zambetti ottenne 84 voti. I magistrati invece sostengono che ci sia stato il picco. Questo non è tollerabile. Abbiamo raccolto le prove

La realtà dei fatti è che, al momento, su Ambrogio Crespi, la Procura ha in mano poco e niente. L’unica telefonata contestata, è quella dell’8 maggio del 2011, in periodo di elezioni, con Alessandro Gugliotta, presunto ‘ndranghetista. Dalla conversazione emerge anche chiaramente che, a Gugliotta, che chiede aiuto per la candidata Sara Giudice (l’anti Minetti), Ambrogio risponde parlando in virtù della sua professione, quindi facendo riferimento esclusivamente a una campagna elettorale. “Dalla trascrizione integrale – spiega l’avvocato Rossodivita – si evince anche come la ricostruzione degli investigatori non sia corretta dal momento che Ambrogio più volte chiede di essere chiamato dalla candidata facendo riferimento a una situazione complessa, riferendosi ancora una volta ai tempi troppo ridotti per poter organizzare una campagna elettorale”.

Al di là del ruolo di Ambrogio Crespi, con un quadro accusatorio che sembra apodittico, ci sono molti altri dubbi sul complesso dell’inchiesta.

Dubbi che si possono leggere tra le righe anche delle dichiarazioni di Piero Grasso, ad ottobre, all’epoca al vertice della Direzione Nazionale Antimafia ed oggi neoeletto parlamentare Pd, sull’ipotesi di una compravendita di voti in Lombardia come in alcune realtà calabresi.

«No, assolutamente no, non si puo fare questo paragone»: così il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso ha risposto a chi gli chiedeva se, dopo le ultime inchieste sulla Regione Lombardia, Milano fosse paragonabile a Palermo o a Reggio Calabria. A margine di un convegno all’università Cattolica di Milano, Grasso ha spiegato che il paragone non si può fare «perché il controllo del territorio in quelle zone e l’intimidazione diffusa è certamente diversa. Qua – ha aggiunto – c’è ancora la possibilità di reazione da parte della società, dell’imprenditoria e della politica: è assolutamente diverso il contesto».

Commentando l’inchiesta che ha portato all’arresto dell’assessore alla Casa della Regione Lombardia, Domenico Zambetti, Grasso ha spiegato che «certamente non pensavamo che si arrivasse al voto di scambio anche in questa regione attraverso il pagamento dei voti. Pensavamo fosse un fenomeno connaturato, almeno secondo noi, all’estrema povertà di certe regioni del Sud in cui chi non aveva da sfamare i figli con quelle 50 euro quel giorno poteva sfamarli. In contesti così ricchi come quello lombardo – ha concluso – pensavamo non potesse allignare una cosa del genere. Ci sbagliavamo».

FIRMA LA PETIZIONE PER AMBROGIO CRESPI LIBERO SUBITO