fotoHo pubblicato sul mio blog un pezzo di Dimitri Buffa (“Born in the Sixties”, la generazione che non si è mai affermata) benché non ne condivida neanche una parola. Mi capitò di fare lo stesso discorso con Giorgio Gaber quando scrisse “La mia generazione ha perso”.

giorgio_gaberDimitri e Gaber si armano dello stesso tratto comune, figli di una rabbia tardiva e depressiva, di chi ha sviluppato sogni che poi si sono rivelati incubi.

È vero che da bambini eravamo convinti che nel 2000 gli uomini si sarebbero spostati con il teletrasporto, avrebbero avuto macchine che volavano, avrebbero fatto viaggi interstellari e, invece, la modernità ci ha consegnato vite più complicate, sotto tutti i punti di vista.

Che la mia generazione abbia fallito, come dice Gaber, è un’emerita assurdità.

La mia è una generazione straordinaria che ha affrontato cambiamenti epocali come nessuno nella storia. Il discorso è lungo e lo affronterò con attenzione e con alcuni esempi.

Sono venuto su in un mondo diviso in due fra comunisti e capitalisti, un mondo diviso da un muro che ho poi visto venire giù e sono stato costretto a cambiare in fretta tutti i miei punti di riferimento.

Sono venuto su in un mondo in cui il telefono era attaccato al muro e più lontano chiamavi più dovevi alzare la voce.

Sono venuto su in un mondo dove prima ancora delle mail c’erano le telescriventi e poi i fax che stampavano su carta chimica e dovevi affrettarti a fare le fotocopie altrimenti i testi sparivano.

Sono venuto su in un mondo dove i rapporti sentimentali erano rivoluzionati rispetto ai racconti dei padri e dei nonni. Eravamo entusiasti della libertà sessuale ma poi ci ha inchiodato la paura dell’Aids.

Sono venuto su in un mondo dove si ammazzavano per strada  operai, giornalisti e magistrati, un mondo dove il sabato pomeriggio uscivi a spaccare vetrine in centro e andavi ai cinema a luci rosse solo per dire che erano immorali e finivi poi in piazza a bruciare le pellicole come “Susy Tettalunga”.

Abbiamo vissuto da protagonisti i cambiamenti delle nostre abitudini, siamo passati dall’essere figli all’essere padri modificando ogni nostro punto di riferimento. Abbiamo vissuto su una lastra di vetro che si inclinava sempre di più e abbiamo lottato per cercare il filo che ci collegasse ai nostri valori, che trovasse il senso della vita stessa.

Abbiamo cambiato mission esistenziali 4 o 5 volte e abbiamo visto in poche ore cambiamenti che avrebbero dovuto impiegare secoli per concludersi. Abbiamo cambiato città, lavoro, partito, modo di vestire, modo di comunicare, di pensare. Abbiamo dovuto reinventarci più volte nella stessa vita e abbiamo visto crollare miti, statue, ideali e poi li abbiamo ricostruiti.

Cosa deve fare di più una generazione per veder confermato il proprio valore? Forse qualcosa ci sarebbe: trovare archetipi comuni.

I percorsi che ci hanno portato qui sono diversi e individuali ma ci hanno reso una generazione che non ha paura di cambiare, che non ha paura della rivoluzione, non si appende a una corda e non giustifica i propri errori con quelli degli altri.

blade_runner

Sono nato negli anni ’60, i primi anni ’60, ho attraversato la storia, “ho visto cose che voi umani non potreste immaginarvi, navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser”: esperienze, emozioni, conoscenze, vite sovrapposte.

Sono nato negli anni ’60, sono vivo, sono sopravvissuto. Ora venitemi a prendere.

“BORN IN THE SIXTIES”, LA GENERAZIONE CHE NON SI E’ MAI AFFERMATA